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Agricoltura

Il piccolo cane nero

Ci fu un tempo in cui un cane (o forse dovremmo dire un lupo?) leccò per la prima volta la mano di un uomo e l’uomo ricambiò con una carezza e una grattatina dietro le orecchie.

Ci fu un luogo dove questo avvenne, forse in quella parte di mondo che chiamiamo Cina o forse in Europa, ma di certo da allora è passato molto tempo: tra i quindici e i dieci millenni.

Uomo e cane cominciarono il loro viaggio insieme quando il cane aveva ancora una dieta prevalentemente carnivora (ma non l’uomo, che mangiava carboidrati già da tempo, a riprova del fatto che la “dieta paleo” è una scemenza), nel paleolitico superiore.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39418342

Con la transizione neolitica, quando l’agricoltura cominciò gradualmente ad affermarsi, la dieta dell’uomo cambiò e con essa quella del suo compagno peloso. Entrambi cominciarono a mangiare carboidrati in maggior quantità.

L’amilasi pancreatica è un enzima presente nell’intestino umano e canino ed è adibito alla digestione degli amidi. I lupi, gli sciacalli e i coyote posseggono solo due copie del gene che codifica per questo enzima (Amy2B), mentre la maggior parte dei cani moderni arriva a possederne anche 40 copie, il che sta ad indicare la loro maggiore capacità di digerire l’amido. Questa amplificazione genica è avvenuta proprio in concomitanza con lo sviluppo agricolo. Da analisi del DNA di cani antichi (antecedenti all’avvento dell’agricoltura) si è potuto osservare come questi possedessero poche copie del gene, esattamente come i loro parenti selvatici moderni.

http://rsos.royalsocietypublishing.org/content/3/11/160449

La vicinanza all’uomo e agli alimenti che questi consumava, ha favorito nel cane l’espressione dei geni che gli permettessero di digerirli ed estrarne energia, incrementando così la sua probabilità di riprodursi. Dal canto suo, l’uomo ne ha guadagnato in sicurezza: il cane proteggeva gli insediamenti umani dalle incursioni degli animali selvatici, ma non solo, lo aiutava nella caccia e nella raccolta, proteggeva gli allevamenti e lo scaldava nelle fredde notti neolitiche.

Uomo e cane sono amici. Li legano millenni di co-evoluzione e, come abbiamo visto, anche di abitudini alimentari.
Uomo e cane hanno sviluppato anche un attaccamento, che alcuni psicologi definiscono quasi materno. Per certi versi noi pensiamo come loro e loro come noi.
Non trovo niente di strano nel definire i cani che ho avuto “i miei bambini”. Lo sono stati.

p.s. I cani non si mangiano. Chi pensa che mangiare cani sia un fatto “culturale”, non sa nulla dei cani e della loro storia evolutiva. Mangiare cani è una aberrazione che solo l’essere umano “moderno” può considerare una cosa…normale.

Ma d’altra parte l’essere umano moderno considera normale trascinare il proprio cane in bicicletta, rasarlo a zero e colorarlo di viola, lasciarlo a morire in un terrazzo, sotto il sole pomeridiano di luglio, abbandonarlo in autostrada, impiccarlo a un albero o anche semplicemente lasciarlo solo, abbandonato in un cortile, legato a una catena per il resto della sua vita.
L’essere umano “moderno” fa un po’ schifo.

So che per molti anche mangiare altri animali è crudele. Potremmo aprire una discussione infinita che passa anche (e per me soprattutto) da come *oggi* facciamo VIVERE (non morire) gli animali, ma ora non è questo il punto. Il punto è che il cane ha, verso l’uomo, qualcosa di *evolutivamente* diverso dagli altri animali, che lo rende nostro amico.

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“Mi chiedo se Cristo avesse un piccolo cane nero

Tutto riccioluto e lanoso come il mio

Con due lunghe e seriche orecchie, un naso umido e rotondo

E due teneri occhi marroni scintillanti.

Sono sicuro, se lo avesse avuto,

che quel piccolo cane nero

Avrebbe saputo sin dal primo istante che Egli era Dio;

Che non avrebbe avuto bisogno

di alcuna prova della Divinità del Cristo

Ma che avrebbe semplicemente venerato il suolo

su cui Lui fosse passato.

Ho paura che non lo avesse, perché ho letto

Come Egli pregasse nell’orto, da solo;

Poiché tutti i suoi amici erano scappati

Persino Pietro, quello detto” una roccia”.

E, oh, sono sicuro che quel piccolo cane nero,

Con un cuore tanto tenero e caldo,

Non lo avrebbe lasciato soffrire da solo,

Ma, spuntandogli sotto al braccio,

Avrebbe leccato le care dita, strette nell’agonia

E, aspettandosi qualche coccola, ma incerto,

Quando Egli fu portato via, gli avrebbe trottato dietro

Seguendolo fin sulla Croce.”

Edward Bach

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

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