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Come dentro una canzone: i faerian drama

«Il sole brilla davvero, e siamo in pieno giorno», disse. «Credevo che gli Elfi amassero soltanto luce di luna e stelle: eppure questo posto è il più elfico che abbia mai visto o udito descrivere. Ho la sensazione di trovarmi all’interno di un canto, se riesco a farmi intendere».

Sam Gamgee – Lothlòrien

Quando Sam pronuncia queste parole si trova nel reame di Lothlòrien ed è preda di un incantesimo elfico. Percepisce una realtà simile a quella del sogno, ma più vivida e intensa. Sperimenta il potere subcreativo degli elfi.

Lòrien è una enclave elfica, una terra custodita da Dama Galadriel e suo marito Celeborn all’interno della quale le leggi fisiche si comportano in modo differente rispetto al mondo esterno.

L’incontro con gli elfi e le fate da parte dei mortali è un topos tipico della letteratura medievale, molto ricorrente nelle fiabe e nelle leggende, che Tolkien personalizza e rende originale. 

Lòrien è ambigua e spesso considerata pericolosa, ma come dice Aragorn a Boromir è piuttosto un luogo in cui le persone cambiano e da cui escono mutate. 

Il Male resta fuori da Lothlòrien e i viandanti possono riposare e rinfrancarsi in un luogo che è fisico perchè presente sulle mappe, ma allo stesso tempo è una terra incantata in cui anche il tempo scorre in maniera diversa. Come nei sogni. 

Non per nulla Lothlòrien significa “terra di sogno”: i membri della compagnia restano un mese al suo interno, ma a loro sembra siano passati solo tre giorni.  In questo periodo non hanno sogni perchè la loro è una esperienza onirica che sostituisce la necessità di sognare. 

Qui le cose sembrano essere immutabili, gli alberi sono sempre verdi, le foglie non cadono mai e i fiori non sfioriscono. Lòrien brilla sempre, è una eterna primavera. Un paradiso sulla Terra, in ricordo delle Terre al di là del mare, che sempre saranno. 

Frodo è il primo a sperimentare la sensazione di essere penetrato in un luogo magico:

“gli sembrava di essere passato su un ponte del tempo e di essere giunto in un angolo dei Tempi Remoti, e di star ora camminando in un mondo che non era più. A Gran Burrone vi era il ricordo di cose passate; a Lórien le cose del passato vivevano ancora. Il male vi era stato visto ed udito, e il dolore più volte provato; gli Elfi temevano e diffidavano del resto del mondo: i lupi ululavano ai margini del bosco: ma sulla terra di Lórien non vi era alcuna ombra”.

Tutto questo è dovuto al potere dell’anello d’acqua di Galadriel che protegge quei luoghi dal divenire storico e nel contempo li isola dal Male esterno.

E chi vi soggiorna può dimenticare la sua missione. Ed è qui che Sam pronuncia quella frase: “come dentro un canto”.

Egli e i suoi compagni sperimentano un faerian drama, un incantesimo elfico. 

Non è la prima volta che accade, anche nel Salone del Fuoco a Rivendell assistiamo a un racconto elfico di cui gli spettatori sono preda, sostituendo la realtà secondaria (la storia narrata) con quella primaria (l’esperienza dei sensi): Frodo stesso crede di precipitar nel fiume durante la narrazione e poi, una volta a Lòrien:

“Gli sembrava di essere volato giù da un’alta finestra aperta su un mondo svanito. La luce in cui era immerso non aveva nome nella sua lingua. Tutto ciò che vedeva era armonioso, ma i contorni parevano al tempo stesso precisi, come se concepiti e disegnati al momento in cui gli venivano scoperti gli occhi, ed antichi, come se fossero esistiti da sempre. Non vedeva colori ignoti al suo sguardo, ma qui l’oro ed il bianco, il blu ed il verde erano freschi ed acuti, e gli pareva di percepirli per la prima volta e di creare per essi nomi nuovi e meravigliosi. Nessun cuore avrebbe mai potuto qui d’inverno rimpiangere l’estate o la primavera. Né difetto, né malattia, né deformità su tutto ciò che cresceva sulla terra. A Lórien non vi era alcuna macchia”.

Nel suo saggio “Sulle Fiabe” Tolkien dice che queste rappresentazioni elfiche sono qualcosa di più della semplice narrazione di fantasia; esse generano un vero mondo secondario che viene interpretato come vero a livello primario da chi lo ascolta. 

E solo gli elfi possono aspirare a tanto. È come un sogno molto realistico, ma a differenza dei sogni, non nasce dal subconscio, bensì è una rappresentazione intessuta da altre menti, quelle elfiche.

Un episodio simile accade anche nei tempi antichi, nella storia di Beren e Luthien, quando la fanciulla elfica intona un canto che Beren, prigioniero di Sauron, interpreta come una esperienza reale: chiuso nella sua prigione ode usignoli cantare e scorge le stelle lontane.

Ma nella Terza Era e dopo la guerra dell’Anello anche gli elfi e i loro incantesimi sono destinati a svanire.

La magia elfica, a differenza del sortilegio e delle pratiche malvagie del Signore Oscuro, è arte, preservazione, cura, amministrazione della natura. Gli elfi sono “naturalmente magici” potremmo dire. La loro non è la magia alla Harry Potter, con la bacchetta magica, ma l’incantesimo che protegge il mondo dal divenire storico. Mentre per Sauron (ma anche per Saruman) la Magia è potere, controllo, supremazia, un modo per soggiogare le volontà altrui, per gli elfi è subcreazione e protezione attuata con l’aiuto del potere buono dei Tre Anelli.

Quando l’Unico viene distrutto, però, anche gli anelli elfici riducono il loro potere e i luoghi come Lothlòrien appassiscono e perdono il loro splendore e tornano nel flusso della Storia e del divenire. La natura riprende il suo ciclo normale di crescita e morte e il popolo fatato prende la via dell’Ovest per scomparire dalla Terra di Mezzo.

È Barbalbero, il custode dei nomi, l’essere metà uomo e metà albero, una delle creature più antiche del mondo, che esprime lo svanire della magia dal mondo dal punto di vita filologico: i nomi esprimono verità antiche; un tempo gli elfi chiamavano la loro terra utilizzando nomi che possedevano significati maggiori. Lòrien aveva un altro nome: “Laurelindórenan lindelorendor malinornélion ornemalin”, traducibile come “La valle dove gli alberi in una luce dorata cantano musicalmente, una terra di musica e sogni; là vi sono alberi gialli, è una terra d’alberi gialli” che mutò poi in “Laurelindórenan”. 

Dice Barbalbero: “E’ così che gli Elfi lo chiamavano prima, ma ora hanno accorciato di parecchio il nome: lo chiamano Lothlórien. Forse hanno ragione: forse sta sbiadendo e non crescendo. Terra della Valle d’Oro Cantante: era codesto il suo nome nei tempi che furono. Ed ora è soltanto Fiordisogno. Purtroppo!

Con la Caduta dell’uomo, la Magia svanisce dal Mondo e con essa anche le parole e il linguaggio coi suoi significati si frammentano, ma le storie, la fantasia, i racconti rimangono. 

La subcreazione, le fiabe sono ancora in grado di mettere semi di irrequietezza dentro di noi, di spingerci fuori di casa, alla scoperta di altre terre e altre genti, come Sam, che un tempo volle andare a vedere gli elfi e tornò mutato.

Le storie ci cambiano, in modo che noi possiamo contribuire a cambiare la nostra storia e quella di coloro che incontriamo sul nostro cammino.

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

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