Categorie
Alimentazione e salute

Skippare o non skippare: Il vero digiuno

Ce ne sono tante, ma la modalità più famosa di quel che viene chiamato, sbagliando, “digiuno intermittente” è la”16:8”, cioè non mangiare per 16 ore e lasciare una finestra di 8 ore per la assunzione di cibo.

Questo sarebbe meglio chiamarlo “time restricted eating” (nelle due accezioni: con o senza restrizione calorica, perchè si può anche non mangiare per 16 ore senza ridurre le calorie che ci servono, ovviamente).

Il “vero” digiuno invece è ben altra cosa perchè comincia solo DOPO le 16 ore (circa) e si può prolungare per diverso tempo. 

È quella la modalità che innesca la famosa “autofagia”, tanto esaltata a livello mediatico. 

Vediamo di far chiarezza e di spiegare per sommi capi in cosa consiste il vero digiuno.

  1. Smettiamo di mangiare e una volta digerito e assorbito il cibo si rimpolpano le riserve di glucosio del nostro corpo (glicogeno)
  2. Queste riserve poi piano piano vengono consumate, dato che non mangiamo più (fase post-assorbitiva)
  3. In contemporanea inizia anche ad aumentare la produzione interna di glucosio (gluconeogenesi) per mantenere stabile la glicemia
  4. Questo glucosio viene formato ex novo inizialmente a partire dagli aminoacidi dei tessuti, ma a un certo punto questa produzione viene sostituita dal glicerolo dei grassi, che si trasforma anch’esso in glucosio per risparmiare la massa magra e per fornire energia al corpo
  5. Si entra così in chetosi: l’energia all’organismo è fornita dalla ossidazione diretta dei grassi (che sostengono il muscolo per esempio), ma pure dalla formazione di corpi chetonici (sempre derivanti dai grassi) che sostengono il cervello e i globuli rossi per circa il 75% (laddove il 25% viene dal glucosio del punto 4 che contribuisce sempre a mantenere la glicemia costante)
  6. Questo “salto” metabolico della chetosi nel digiuno avviene DOPO le 16 ore circa se si prosegue a NON mangiare, perchè se si riprende a mangiare (anche non introducendo carboidrati come si fa nelle diete chetogeniche) si ricevono nuovamente proteine dal cibo e non si innesca la autofagia
  7. La autofagia invece è quel processo in cui non arrivando più proteine con la dieta, il fabbisogno proteico è soddisfatto dalle proteine degli organelli “dismessi” nelle cellule e altre componenti che non servono (tra cui cellule del sistema immunitario e forse anche cellule precancerose), ma dopo un po’ anche dalle proteine muscolari (le cellule muscolari però non si riducono di numero, ma si “svuotano” soltanto di proteine e questa è una buona cosa).
  8. Al termine di questo vero digiuno (che quindi deve prolungarsi PIU’ di 16 ore), l’organismo rigenera i tessuti perduti innescando l’attività di cellule staminali e “riprende vita” in modo ripulito e rinnovato, almeno in teoria
  9. Infatti, attualmente abbiamo più che altro indizi biochimici teorici o su animali perchè studi sull’uomo sono pochi (sia sperimentali ovviamente, sia epidemiologici) e il digiuno rimane uno stress sebbene con un possibile risultato finale positivo che rientra nel concetto di ormesi (piccoli stress a cui l’organismo si adatta, rinforzandosi all’uscita)
  10. Pertanto il digiuno vero è un sacrificio che non ha prove di efficacia e invece saltare semplicemente i pasti, non è detto sia una buona idea, sopratutto se si fa con l’idea di “ripulirsi” e non di restringere l’introito calorico (questo potrebbe essere un modo per perdere peso e quindi positivo). Molti studi hanno mostrato come saltare colazione o altri pasti nella giornata sia associato con un aumento della mortalità, sia cardiovascolare che per tutte le cause.
    Quindi skippa tu che skippo io, forse non è il caso di andar dietro alle varie mode che personaggi famosi seminano nell’internèt perchè potremmo farci più male che bene.

Ergo: dieta equilibrata, pochi prodotti animali e molte piante, movimento costante, evitare il sovrappeso sono ancora le cose più di buonsenso e scientificamente “sane” che possiamo fare attualmente. 

https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3242_allegato.pdf

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S2212267222008747?casa_token=I_y2z4ppRUIAAAAA:DY4PimaPu6cd-IN0I6X_NUyo1Lvnuu4OstPzwBDEz6XI46WWn7rIUQXJHnRR-qz8TF62UNfqCA

Saltare i pasti

Fa bene, fa male, fa boh?

Prendi 24mila persone (età maggiore di 40 anni) e segui le loro abitudini alimentari per 15 anni. 

In particolare ti interessa sapere quanti e quali pasti fanno al giorno. 

Alla fine del periodo di controllo ci saranno stati 4175 decessi.

Rispetto a chi faceva tre pasti al giorno (la maggioranza), chi ne ha fatto uno solo “è morto di più”. 

Il rischio di morte per motivi cardiovascolari è stato dell’83% più elevato, mentre il rischio di morte per tutte le cause del 30% più alto in coloro che mangiavano solo una volta al giorno. 

Chi saltava la colazione ha avuto un rischio di morte cardiovascolare maggiorato del 40% rispetto a chi non la saltava. Lo stesso dicasi per chi saltava pranzo o cena rispetto a chi non lo faceva (ma con un rischio relativo minore: 12% e 16% di rischio in più rispettivamente). 

Tra coloro che facevano tre pasti chi li faceva con un intervallo tre due pasti inferiore a 4,5 ore aveva un rischio maggiorato di morte per tutte le cause del 17% rispetto a coloro che mangiavano con intervalli maggiori (tra 4,6 e 5,5 ore). 

Conclusioni: secondo questo studio, saltare i pasti è rischioso, soprattutto saltare la colazione (quello che di solito viene fatto dalla maggioranza delle persone e che viene suggerito di fare quando si seguono i “digiuni” 16:8 tanto di moda ora). 

La vecchia regola della colazione da Re, pranzo da Principe, cena da Povero appare ancora la più sensata, sempre che il Totale non porti ad ingrassare perchè pure quello fa malino…

Condividi...

Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.