Nè carnivori, nè erbivori, nè vegani, nè paleolitici
Oggi siamo solo umani *troppivori*, animali perfettamente adattati a un mondo che non c’è più.
Ci prendiamo a botte di patate e bistecche, ma la nostra storia evolutiva parla chiaro: biologicamente siamo onnivori e abbiamo sviluppato adattamenti sia per mangiare vegetali che animali.
In effetti la nostra storia alimentare è un pasto che comincia dal dessert. Nell’immagine sotto manca il “primo”, cioè l’avvento dell’agricoltura, ma da quel punto in poi semmai è cominciato il dis-adattamento.
Disadattamento che però non ha portato danni finchè quel legame tra ricerca-produzione del cibo e energia bruciata per ottenerlo non si è incrinato.
Nel momento in cui abbiamo avuto tanto cibo SENZA dover spendere calorie per mangiarlo, allora sono cominciati i problemi: è ciò che chiamiamo mismatch evolutivo, il disaccoppiamento tra adattamenti evolutivi e ambiente.
Uno splendido esempio è la perdita dell’enzima che metabolizza l’acido urico che incidentalmente ci ricorda che siamo così adattati a mangiare frutta che una mutazione ci ha permesso di prendere il massimo da questi doni della natura (siamo anche adatti a mangiare carne, ma per ora è un’altra storia).
È all’inizio della storia che, complici i cambiamenti climatici, nei nostri progenitori si osserva una mutazione genetica che ha implicazioni sulla nostra condizione attuale e cioè la perdita dell’enzima che degrada gli acidi urici e che nella maggior parte dei mammiferi è ancora presente.
L’acido urico è il prodotto della degradazione delle purine (le basi azotate che compongono il DNA). Negli altri animali viene degradato ad allantoina, ma non nell’uomo.
Il gene che produce urato ossidasi (uricasi) si è spento e nel sangue umano “viaggia” una quantità di urati maggiore.
Questo fatto deve aver avuto un significato evolutivo e la perdita del gene per la uricasi deve aver portato ad un vantaggio.
Quale? Probabilmente l’aver permesso un maggior accumulo di grasso nei periodi di presenza maggiore di frutta in modo da sopravvivere quando questa veniva a mancare.
Come? tramite un aumento della insulinoresistenza indotta dal consumo di fruttosio. Il fruttosio riduce i livelli di energia cellulari, induce un aumento della degradazione delle purine e una maggior produzione di acido urico.
Se questo viene degradato meno in assenza dell’enzima adibito a tale scopo, si accumulerà inducendo accumulo di grasso e resistenza alla all’azione dell’insulina.
L’accumulo di grasso in un mondo di scarse risorse è stato positivo aumentando la sopravvivenza. Ci ha resi molto efficienti a risparmiare energia.
Nel mondo moderno assistiamo invece a quel mismatch evolutivo che provoca danno: l’abuso di bevande zuccherate e di dolcificanti ricchi in fruttosio (abusare di fruttosio con la frutta è quasi impossibile e NON dobbiamo ridurla) in un contesto dove le calorie NON mancano, provoca un danno metabolico cronico sensibile con rischio cardiovascolare aumentato, ipertensione, steatosi epatica, diabete tipo 2.
Non solo, oggi l’aumento esponenziale del consumo di carne induce una introduzione maggiore di purine anch’esse degradate ad acido urico che non viene smaltito a causa della mutazione ancestrale e tutto questo ci si rivolta contro.
Insomma, un tempo quella insulinoresistenza che oggi cerchiamo di evitare, ci ha fatto sopravvivere.
Tutte le considerazioni che girano attorno alla migliore qualità della nostra dieta oggi riguardano solo il nostro troppivorismo: mangiare soprattutto vegetali è probabilmente la scelta migliore per tenerlo a bada, per mangiare meno (oltre a argomentazioni etiche e ecologiche).
Non per gli antiossidanti, non per i “fitocomposti” anti tumore, anti diabete, anti infarto.
Oggi dovremmo scegliere di avere una dieta basata sulle piante per riempirci la pancia e riuscire a mangiare tanto volume con poche calorie.
Dovremmo andare volontariamente e culturalmente contro i nostri adattamenti “naturali” che millenni fa, al contrario, ci hanno permesso di prendere tutta l’energia possibile dai cibi: più zuccheri dalla frutta, più calorie dalla carne, ancora di più dalla cottura.
Che, in fin dei conti, ci hanno permesso di “dirottare risorse” verso altri compiti, non dovendo brucare tutto il giorno, e sviluppare le capacità cognitive di Homo sapiens.
Capacità che, evidentemente, non abbiamo sfruttato a dovere.
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