Categorie
Alimentazione e salute

Covid-19: il legame tra dieta e malattia che non vogliamo vedere

Il cibo c’entra sempre.

In Italia circa la metà della popolazione adulta è sovrappeso o obesa (non parliamo degli Stati Uniti che hanno il 50% e più di obesi soltanto).

L’eccesso ponderale e l’abuso di alimenti di origine animale sono legati a doppio filo alla stragrande maggioranza delle malattie cronico-degenerative che colpiscono l’umanità.
L’intermediario tra dieta e malattie è l’infiammazione sistemica di basso grado (Low Grade Inflammation, LGI).

Oggi siamo in grado di individuare un legame tra queste patologie, dette “non-trasmissibili” (perchè non si trasmettono tramite “contagio”) e quelle trasmissibili (come le infezioni batteriche o virali). E tutto finalmente torna.

Come diceva il caro Tenente Colombo possiamo unire tutti quei fili che pendono…

Se una infiammazione improvvisa, potente e di breve durata è certamente utile per combattere i “cattivi” (infezioni di batteri e virus, riparazione di ferite o traumi, ecc.), una infiammazione leggera, ma cronica è una condizione di rischio per la salute.

La LGI è mediata da numerose sostanze che il nostro organismo produce (dette citochine infiammatorie, vi dice niente l’Interleuchina-6?), ma anche fattori esogeni (come il fumo e l’inquinamento) che porta a erodere lentamente, ma inesorabilmente il nostro DNA, le nostre cellule e le loro componenti (proteine e lipidi di membrana) causando malattie e invecchiamento precoce.
E’ uno stillicidio che si vede alla lunga, che provoca piccoli traumi invisibili che sfociano nella patologia solo dopo molti anni.

In passato, quando l’età media era molto ridotta rispetto ad oggi, non si faceva in tempo a vedere i risultati di questo processo, ma oggi le cose stanno diversamente, la vita è più lunga e l’infiammazione ne riduce non tanto la lunghezza quanto l’aspettativa in salute. Insomma siamo vecchi e malati. E’ stato coniato un termine efficace: “Inflammageing” che si riferisce proprio al fatto che l’infiammazione contribuisce all’invecchiamento e l’invecchiamento incrementa le probabilità che i danni provocati dall’infiammazione si manifestino.

Dicevamo, la LGI sta alla base. E’ un fuocherello che logora. Un infarto può avvenire anche in chi ha un basso livello di colesterolo nel sangue, ma non avviene senza una base infiammatoria sottostante. La LGI pone le fondamenta per moltissime malattie non trasmissibili: infarto, ictus, diabete di tipo 2, artrosi, osteoporosi, depressione, demenza senile e tumori.

Ma quali sono le cause della LGI? Principalmente noi stessi. Le nostre azioni, il nostro stile di vita errato: alimentazione squilibrata in qualità e quantità, quindi dieta ricca in calorie che porta a sovrappeso e obesità, con un eccesso di prodotti animali, sale, grassi saturi, alcolici e povera in fattori protettivi: frutta e verdura, legumi cereali integrali, pesce, ecc. Ovviamente il fumo di sigaretta e l’esposizione a inquinanti esogeni completano il quadro. Probabilmente anche lo stress ha un ruolo non indifferente come anche una scarsa qualità del riposo notturno.

L’intensità della LGI è sempre il risultato di un tira e molla tra stimoli pro-infiammatori e anti-infiammatori e in definitiva è il risultato delle nostre azioni, del modo in cui abbiamo condotto la nostra vita.

Ma come si lega tutto ciò con Covid-19 (ed altre malattie virali)?

A differenza di altre epidemie del passato, in cui si poteva morire per polmoniti causate da super-infezioni batteriche, nel caso di SARSCov-2 l’aggravamento della malattia è causato da motivi differenti: l’infezione procede per qualche giorno con febbre e tosse secca (questi i sintomi più frequenti), ma in molti casi i sintomi possono essere molto labili o addirittura non esserci. E poi ecco che arriviamo al bivio: dopo circa una settimana l’80% delle persone migliora e il tutto passa senza conseguenze, ma c’è un 20% che può avere un peggioramento moderato (il 15% crica) o più grave (il 5%). Questi soggetti presentano dispnea (con necessità di aiuto nella respirazione) che può peggiorare in polmonite grave, ARDS (sindrome da distress respiratorio), disfunzione multipla d’organo (MOD), sepsi e shock settico, fino alla morte (che si verifica grossomodo nel 1-2% dei casi).

Non c’è pertanto un’infezione batterica a peggiorare la situazione, ma nel 20% dei casi ci troviamo di fronte a un “fuoco amico”: dopo la prima settimana, in cui il virus si moltiplica nell’organismo, si mobilita il sistema immunitario che colpisce i polmoni con le medesime sostanze che producono la LGI, le “citochine infiammatorie” appunto (come l’interleuchina 6), le quali si riversano nei polmoni per eliminare il danno.

E fin qui tutto bene, l’infiammazione è nostra amica.

Capita però che in una fetta della popolazione la normale fanteria di citochine si trasformi in una tempesta incontrollata che distrugge il tessuto polmonare e può riversarsi in circolo producendo danni agli altri organi e anche la morte.

Ma quali sono i soggetti a rischio di subire la tempesta? Fondamentalmente 3 categorie:

  1. Persone che sono GIA’ “infiammate” per motivi differenti perchè presentano patologie su base infiammatoria come la pressione alta, le malattie cardiovascolari, i tumori, il diabete e l’obesità (che le lega tutte). Oppure in chi “introduce” sostanze che possono aumentare la risposta infiammatoria interna: i fumatori, coloro che bevono molti alcolici. In questi casi alla tempesta di citochine si aggiunge quella già presente aggravando la prognosi.
  2. Gli anziani, che per motivi “fisiologici” partono da uno stato di infiammazione leggermente più alto e a cui basta poco per sbilanciare l’equilibrio (e spesso sono anche sovrappeso).
  3. I soggetti predisposti geneticamente a produrre livelli di citochine più elevati. Questo spiegherebbe anche perchè la malattia colpisca in piccola parte anche i giovani e coloro che non presentano malattie evidenti (ma che spesso anche loro sono in sovrappeso).

Ed ecco che possiamo mettere insieme il tutto:

– Un stile di vita squilibrato conduce a
– Infiammazione di basso grado che
– Aumenta il rischio di malattie croniche, ma anche
– Aumenta il rischio di andare incontro a complicanze legate all’infezione (e probabilmente anche maggior suscettibilità alle infezioni stesse)

Non stupisce quindi che la maggior parte dei decessi presentasse una o più malattie di base e/o che fossero anziani.

Da qui purtroppo l’orrenda “giustificazione” dei morti “con” e “per” il Covid-19: un fuocherello (la LGI) può logorare ma non dare fuoco alla casa che viene distrutta dall’incendio del virus, ma è purtroppo vero che senza questa fiammella persistente forse oggi avremmo avuto meno incendi e meno morti (tutto questo al netto degli errori compiuti da chi ci governa e dalle mancanze politiche).

Il nostro rapporto col cibo, in qualche modo, c’entra sempre, ma spesso noi rifiutiamo di cambiarlo.

Condividi...

Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

8 risposte su “Covid-19: il legame tra dieta e malattia che non vogliamo vedere”

Articolo avvincente e che offre, se non una prospettiva completamente nuova, un punto di vista in più per chi vuole raccapezzarsi in quanto sta accadendo.
Leggendo l’articolo mi è sorta una domanda che provo a girarle: sappiamo quanto, in termini percentuali, l’errata alimentazione/tdee/NEAT influiscano nello stato infiammatorio di basso grado rispetto agli altri fattori nominati (fumo,inquinamento, stress, insonnia, ecc)?

Cordialità

Fabio

Una persona ipertesa 50-enne che corregge lo stile di vita, per esempio fa più moto, smette di fumare e introduce una alimentazione più equilibrata, riesce così a ridurre l’infiammazione oppure semplicemente non peggiora il suo stato? (Io in realtà ho smesso di fumare da 20 anni e da ancora di più cerco di alimentarmi meglio)
Grazie

Credo assolutamente in tutto ciò che il suo articolo dice, sempre molto chiaro tra l’ altro, forse le faccio una domanda banale ma mi chiedo allora questo divario di morti e positivi al nord rispetto al sud dove certamente c è un numero alto di persone in sovrappeso a cosa è dovuto?

Eh ovviamente non ci si limita ai soli problemi che ho indicato… semplicemente i focolai sono cominciati al nord per primi e per fortuna nel resto del paese ai sono attivate strategie di contenimento abbastanza in tempo. Poi c’è tutto il disastro della gestione in Lombardia, le case di riposo ecc…non volevo dire che SOLO gli aspetti dietetici contano

Rispondi a Dott. Gabriele Bernardini Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.