
Quando nel 1937 la prima edizione de “Lo Hobbit” venne pubblicata, fu subito un successo.
Il professor J.R.R. Tolkien, che vide morire decine di compagni e amici nel peggior carnaio che la storia umana ricordi, la battaglia della Somme, durante la prima guerra mondiale, e che visse nel ventennio tra le due guerre (“The long weekend” come lo definì il poeta Robert Graves) assistendo al crescente e oscuro sviluppo del nazismo in Germania, così rispose a un editore tedesco, interessato all’acquisto dei diritti di traduzione del romanzo e che cercava di ottenere informazioni sulle sue origini:
“Cari Signori,
grazie per la vostra lettera. […] Temo di non aver capito chiaramente che cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati. Ma se Voi volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo non sembra che tra i miei antenati ci siano membri di quel popolo così dotato. Il mio bis-bis-nonno venne in Inghilterra dalla Germania nel XVIII secolo: la gran parte dei miei avi è quindi squisitamente inglese e io sono assolutamente inglese, il che dovrebbe bastare. Sono sempre stato solito, tuttavia, considerare il mio nome germanico con orgoglio e ho continuato a farlo anche durante il periodo dell’ultima deplorevole guerra, durante la quale ho servito nell’esercito inglese. Non posso, tuttavia, trattenermi dall’osservare che se indagini così impertinenti e irrilevanti dovessero diventare la regola nelle questioni della letteratura, allora manca poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio.
La Vostra indagine è sicuramente dovuta all’obbligo di adeguarsi alla legge del Vostro paese, ma che questa debba anche essere applicata alle persone di un altro stato” è scorretto, anche se avesse (ma non ce l’ha) a che fare con i meriti del mio lavoro o con la sua idoneità alla pubblicazione, lavoro del quale sembravate soddisfatti anche senza saper nulla della mia Abstammung [discendenza].
Confidando che troverete soddisfacente questa risposta, rimango il Vostro fedele,
J.R.R. Tolkien”.
Tolkien ben sapeva come l’antico nucleo nordico di miti e fiabe fu manipolato da studiosi del folklore ottocenteschi per ricostruire una identità nazionale tedesca che aprì lentamente la strada alla ideologia nazista.
Le storie, le fiabe e i miti recuperati dal passato furono usati per essere asserviti a un sistema di potere che ne volle trovare una origine ariana superiore.
In una lettera successiva scrisse:
“Comunque in questa guerra io ho un bruciante risentimento privato, che mi renderebbe a quarantanove anni un soldato migliore di quanto non fossi a ventidue, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler […]. Sta rovinando, pervertendo, distruggendo, e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce.”
Il filologo Tolkien dedicò la sua vita alle storie e alle parole e al loro valore estetico, al di là di ogni possibile strumentalizzazione.
Le storie e le fiabe hanno per lui valore in sè, di bellezza e efficacia narrativa e contengono messaggi universali che tutti i popoli dovrebbero condividere per non cadere nuovamente negli orrori delle ideologie e della guerra.
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Non fate morire le Storie