“Ehh ma questa è solo una associazione statistica, non c’è un legame di causa-effetto! quindi non vale niente”
Quante volte sentiamo questo discorso?
“Correlazione non è causazione”.
Il che è vero, come concetto di base: se il consumo di margarina “segue” strettamente il tasso di divorzi nello stato del maine, questo non ci autorizza a dire che meno margarina si mangia e più durano i matrimoni (e infatti è una caxxata).
Ma tanti indizi alla fine potrebbero fare una prova quando si parla di studi epidemiologici e quindi osservazionali e non sperimentali.
Questi indizi si possono scovare applicando i criteri di Bradford Hill, un’utile “guida” (non esaustiva) per cercare di valutare quando due variabili possono essere legate tra loro da un nesso causale e non solo casuale.
L’associazione margarina-divorzi mostrata in figura, non rispetta questi criteri, ma, per esempio, l’associazione consumo eccessivo di carni lavorate-rischio aumentato di diabete, li rispetta a sufficienza.
Vediamoli
1. Forza della associazione: l’associazione tra consumo di carne lavorata e diabete tipo2 è forte, con circa il 90% degli studi che mostra un aumento del rischio significativo.
2. Consistenza (il fatto che anche altri studi arrivino alle stesse conclusioni in tempi e luoghi diversi): in questo caso la maggior parte degli studi concordano sulle stesse conclusioni
3. Specificità (se il legame tra un fatto e un esito è specifico, questo avvalora l’ipotesi della causalità): difficilmente si può rispettare questo criterio, infatti Il consumo di carne non è associato unicamente al diabete, ma può influenzare altri problemi di salute.
4. Effetto dose-risposta (se all’aumentare della esposizione a qualcosa, aumenta anche l’esito che cerchiamo, allora questo avvalora la causalità): più carne lavorata si mangia e più aumenta il rischio di diabete.
5. Plausibilità (se possiamo identificare un meccanismo biologico, questo incrementa la possibilità della causalità): l’apporto di grassi saturi e colesterolo, il ferro eme e i nitrati/nitriti nella carne lavorata sono spiegazioni plausibili.
6. Esperimenti (se possiamo fare un esperimento per testare il legame, possiamo ottenere prove più forti): in questo caso gli esperimenti su animali hanno fornito dati incompleti.
7. Coerenza (ciò che sappiamo del legame dovrebbe essere in accordo con altre cose che sappiamo): non essendoci un completo accordo tra esperimenti e dati epidemiologici, la coerenza tra consumo di carne e diabete è bassa.
8. Temporalità (per stabilire una relazione causale, l’esposizione deve precedere l’esito nel tempo. La causa deve precedere l’effetto: non è così banale): il diabete arriva dopo l’esposizione alla carne trasformata.
9. Analogia (se un’associazione simile è stata osservata per un’esposizione simile, la causalità è più probabile): il consumo di altre fonti di proteine animali, come il pollame, pesce, latticini, è stato associato a diversi effetti sulla salute. Questo rende difficile trarre conclusioni basate sull’analogia con la carne rossa e lavorata.
In conclusione: esiste un probabile nesso causale tra carni trasformate e diabete. Il che avvalora la raccomandazione alla popolazione di limitarle per ridurre il rischio.
E quindi il consiglio “entra” a buon titolo nelle linee guida.