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I Frumenti antichi e quelli moderni

I frumenti sono piante, sia coltivate che selvatiche, che appartengono al genere Triticum. Alcune specie/sottospecie sono apparse circa mezzo milione di anni fa, altre 10-7mila anni fa.

Parlando solo di quelle coltivate, oggi riconosciamo 7 frumenti, 3 vestiti (cioè i cui semi sono avvolti dalle glume al momento della raccolta e vanno decorticati prima di renderli farina) e 4 nudi (in cui le glume vengono cadono spontaneamente alla raccolta)

1) Grano tenero (Triticum aestivum);

2) Grano duro (Triticum durum);

3) Spelta o farro grande (Triticum aestivum spelta);

4) Monococco (Triticum monococcum);

5) Farro (Triticum turgidum subsp. dicoccum);

6) Grano Turanico (Triticum turgidum) noto commercialmente come kamut® o “grano khorasan”

7) Tritordeum (un incrocio tra il frumento duro e l’orzo selvatico sviluppato circa cento anni fa)

Monococco, farro e spelta sono vestiti, gli altri nudi. Ci sono poi altri frumenti selvatici o non più coltivati

Per ogni specie coltivata elencata sopra, si trovano:

A) Antiche popolazioni locali (varietà) che si coltivavano in Italia fino a inizio ‘900

B) Varietà selezionate dai ricercatori dai primi del ‘900 agli anni ’60 (quelli che oggi chiamiamo “grani antichi”)

C) Varietà moderne, coltivate dagli anni ’60 in poi

Tutte queste varietà sono state in qualche modo “create” dall’uomo a partire da 10.000 anni fa, intervenendo fin dall’antichità sul loro genoma, prima in modo empirico selezionandole tramite incroci e domesticandole, poi col miglioramento genetico più mirato (con varie tecniche, ma per esempio non ci sono in commercio grani OGM), dando vita a molte nuove varietà (soprattutto negli ultimi 100 anni).

Tra i caratteri favorevoli più importanti che l’uomo ha selezionato fin dalla antichità troviamo:

● Semi che non cadono dalla spiga (nelle forme selvatiche avviene l’opposto per facilitare la dispersione, ma in quelle coltivate è utile che ciò non accada)

● Forme nude (semi che non devono essere decorticati sono più comodi)

● Aumento della produttività per unità di superficie con selezione di varietà geneticamente più produttive (e contestualmente uso di migliori tecniche di coltivazione: fertilizzanti e agrofarmaci)

● Piante più basse che resistono meglio all’allettamento, caratteristica questa che rende la raccolta più difficoltosa, riduce la qualità e la produzione

● Piante “precoci” che maturano prima del caldo estivo

● Resistenza alle malattie (soprattutto quelle fungine) per limitare l’uso di agrofarmaci

● Varietà “moderne” con minor glutine e proteine, ma con caratteristiche tecnologiche migliori che rendono i prodotti derivati con caratteri organolettici più desiderati

Soprattutto gli ultimi quattro punti sono il frutto iniziale del lavoro di persone come Nazareno Strampelli (il famoso grano Senatore Cappelli è una delle sue “invenzioni”) e Norman Borlaug (premio nobel per la pace del 1970 e padre della “rivoluzione verde” che con il suo lavoro sollevò dalla fame milioni di persone in molti paesi dell’Asia e del Sud America).

Nutrizionalmente parlando tutti frumenti sono uguali, con piccole differenze che non giustificano la scelta di uno o dell’altro: il farro non è migliore del grano duro per esempio. Il kamut è solo un nome commerciale ed è…grano. Le proteine per esempio oscillano tra il 12 e il 14% nelle paste vendute in Italia.

La grossa differenza riguarda unicamente i prodotti integrali rispetto ai non integrali, in particolare modo per la maggior presenza di fibra alimentare (e in minor misura di alcun sostanze presenti nel germe), ma ciò non significa che i prodotti “raffinati” siano il veleno che orde di guru poco informati (medici compresi) ci raccontano da decenni.

Tutti i frumenti contengono glutine le cui componenti proteiche (gliadine e glutenine) sono tossiche per i celiaci, i quali ovviamente devono seguire una dieta gluten-free per tutta la vita.

Oggi conosciamo circa 30 “pezzetti” di gliadine e glutenine (detti “epitopi”) della lunghezza di 9 aminoacidi, ricchi in particolare di prolina e glutamina (due aminoacidi appunto), che risultano resistenti alla azione degli enzimi intestinali (proteasi) e rimangono “in giro” nell’intestino con la possibilità di attaccarne i villi e distruggerli.

La malattia celiaca ha una base genetica autoimmune ed è una “intolleranza” al glutine da distinguersi dalla allergia alle proteine del grano e dalla fumosa entità patologica chiamata “sensibilità al glutine” che non ha test validati per la sua diagnosi (si può fare solo per esclusione), non produce danni intestinali, ma solo fastidi di tipo sia gastrointestinale che extraintestinale.

Non è però ben chiaro se il glutine sia la causa del problema o siano altre sostanze (inibitori dell’amilasi/tripsina, ATI e i cosiddetti FODMAP: oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili).

Fatto sta che eliminare il glutine, a meno di essere celiaci, non serve se prima non si arriva a una diagnosi precisa: i sintomi infatti sono molto generici e spesso possono derivare unicamente da una alimentazione squilibrata che nulla ha a che vedere col frumento e col glutine.

Tutto quanto detto ESULA totalmente dalla discussione sui grani antichi e moderni per quanto riguarda caratteristiche millantate di maggior tollerabilità, digeribilità, sicurezza delle varietà antiche rispetto a quelle nuove.

TUTTi i frumenti contengono glutine e devono essere evitati dai celiaci. Per quanto riguarda le altre fake news:

  1. Non è vero che i grani moderni contengano più glutine: hanno, in generale, MENO proteine e quindi meno glutine. La maggior produttività di questi grani comporta un ridotto contenuto proteico dei semi. I grani antichi, che sono meno produttivi contengono più proteine e glutine, a parità di condizioni agronomiche (come la fertilizzazione azotata). Questo in media, poi esiste un certa variabilità genetica per cui questo discorso generale può non valere per singole varietà, ma SIA in un senso CHE nell’altro.
  2. È vero che il glutine “moderno” è diverso da quello “antico”, ma non per ciò che si pensa: è più “tenace”, ha una forza maggiore (definita da parametri come “W” e “indice di glutine”) e questo per venire incontro alle NOSTRE richieste: vogliamo pani soffici e pasta al dente e questo abbiamo. Comunque sia, anche in questo caso, c’è gran variabilità (soprattutto tra i grani teneri) per cui avremo frumenti per biscotti (deboli, con meno proteine) fino a frumenti e farine forti per pani e prodotti da forno molto lievitati (panettone per esempio). La differenza qualitativa del glutine dei grani moderni però non ha NULLA a che fare con la sua millantata maggior “tossicità”. Il glutine è glutine e non c’è alcuna prova che i grani moderni abbiano una maggior frequenza di epitopi tossici rispetto ai grani antichi: è tutto altamente variabile; si possono trovare varietà antiche più “tossiche” (per i celiaci, non per i sani) e moderne meno, e viceversa, e non c’è dimostrazione che il miglioramento genetico abbia “innalzato” la quantità di frazioni tossiche. Perciò un celiaco non può mangiare né i primi né i secondi e chi non è celiaco può mangiare entrambi.
  3. I grani antichi non sono più “digeribili”: la digeribilità non dipende dalla varietà, ma dalla composizione in nutrienti (che come abbiamo detto è la stessa in tutti i frumenti), dalla quantità di roba che si mangia e dal contenuto di grassi.
  4. I grani antichi contengono (in media) alcuni minerali in più rispetto ai moderni (zinco e ferro), ma la cosa è ininfluente in un mondo che non conosce carenze e che prende i nutrienti da mille altri alimenti di cui dispone in quantità. La vera differenza in nutrienti semmai riguarda il frumento integrale rispetto al non integrale, non l’antico rispetto al moderno.
  5. Non è vero che i grani antichi siano “più buoni”: la varietà dei sapori dipende da tanti fattori indipendenti dall’origine “antica” o meno.

Per ultimo: i frumenti antichi hanno una produttività di circa il 60-70% inferiore rispetto ai moderni e quindi per avere la stessa quantità di farina ci vuole molto più terreno, il che cozza contro i più banali principi di sostenibilità ambientale

In Italia il grano tenero soddisfa solo il 40% della domanda (il resto lo importiamo). Se usassimo solo grani antichi scenderemmo al 15% e dovremmo prendere il resto dai grani moderni esteri. Per il grano duro copriamo il 60% del fabbisogno e il discorso è il medesimo.

Conclusione: NON ci sono differenze sostanziali tra frumenti antichi e moderni per ciò che riguarda la nostra salute, mentre sono notevoli per gli aspetti di produttività, sostenibilità e di caratteristiche tecnologiche: in questi casi la superiorità dei moderni è schiacciante.

Ecco un bellissimo compendio sui grani (https://www.fidaf.it/wp-content/uploads/2017/07/Il_Frumento.pdf)

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

4 risposte su “I Frumenti antichi e quelli moderni”

bellissimo articolo, grazie!
ho letto tutta la dispensa, davvero interessante e per me esplicativa.
grazie ancora
Sara

Grazie dell’ articolo e del compendio adeguatamente breve..
La cosa che mi fa ridere sentendo parlare di grani antichi è che quelli che oggi vengono chiamati antichi, come il Senatore Cappelli (1915), allora erano chiamati moderni. Sic transit..

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