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La Macchina

Tolkien oggi sarebbe considerato dai più come un vegliardo retrogrado e conservatore, allergico al progresso, all’industria e contrario all’utilizzo della tecnica, determinato a tornare ai “bei tempi andati” per ristabilire un rapporto utopico con la Natura. Ma sarebbe corretto dipingerlo così? E siamo sicuri che molto di ciò che affermava non risieda in modo più o meno nascosto nel nostro cuore, anche se non vogliamo vederlo e accettarlo?

Nella sua opera la Magia è sempre qualcosa di negativo (o comunque da usare con molta attenzione parsimonia come dimostra Gandalf) e coincide sostanzialmente con la Macchina che, attraverso la Tecnica, risparmia fatica creando solamente fatica peggiore, producendo un veloce soddisfacimento dei desideri solo per alimentarne altri. Tutto questo porta al Controllo, alla coercizione e quindi alla schiavitù, alla dipendenza, alimentando il desiderio di Potere. 

Al contrario dell’Arte (che nel mondo tolkieniano si rivela con l’agire degli elfi che mettono in atto una “magia” differente, identificabile col termine “incanto”) con la quale il sub-creatore crea nuovi mondi senza alcun desiderio di assoggettare gli altri, la Macchina alimenta unicamente il desiderio di controllo in un mondo caduto ed è ambizione che scimmiotta l’opera di Dio pervertendo la materia, snaturandola.

La Caduta influisce sull’uso che egli fa delle macchine. 

Se inizialmente ci può essere un intento positivo e un desiderio di migliorare il mondo (vedi Saruman), questo è vanificato a causa della corruzione da parte del Male che conduce alla produzione di oggetti destinati ad infliggere dolore e morte, come le armi.

“A differenza dell’arte che si accontenta di creare nella mente un nuovo mondo, la tecnica cerca di realizzare i desideri, e così di creare potere in questo mondo; e questo non può in realtà essere fatto con qualche soddisfazione. Le macchine che risparmiano la fatica creano solamente fatica peggiore e senza fine. E in aggiunta a questa sostanziale incapacità di creare, c’è la Caduta, che fa sì che i nostri aggeggi non solo falliscano i loro obiettivi, ma diano vita ad altre cose malefiche e orribili. Così inevitabilmente da Dedalo e Icaro arriviamo al bombardiere gigante.

Non è certo un passo avanti sulla strada della saggezza! Questa terribile verità, intuita tempo fa da Samuel Butler, salta agli occhi così chiaramente ed è così orribilmente evidente nella nostra epoca, con le sue implicazioni ancora peggiori per il futuro, che sembra quasi una malattia mentale diffusa in tutto il mondo, che solo un’esigua minoranza percepisce.”

Perciò, se da una parte l’artista agisce senza perseguire scopi materiali, il “tecnico” desidera piegare la sua creazione a interessi egoistici.

Sebbene questa visione della Macchina possa indurre a pensare a Tolkien come un luddista tecnofobico, nella sua visione trova posto anche una tecnica “buona”, semplice, che non allontani eccessivamente l’uomo dal natura.

Gli hobbit della Contea (che non hanno nulla di magico, a parte l’abilità nel nascondersi dalla Gente Alta, cioè noi) apprezzano strumenti come il soffietto del fabbro, il mulino ad acqua, il telaio a mano. I nani sono esperti minatori e utilizzano l’ingegno per estrarre metalli dalle rocce e creare grandi e meravigliose strutture sotterranee. Persino gli elfi modificano l’ambiente per creare opere adeguate alle loro necessità e nutrire il mondo di bellezza. In questo differisce per esempio con la demonizzazione totale della scienza che propone il filosofo Heidegger.

Saruman invece è il tecnocrate che crea un esercito di orchi “geneticamente modificati”, devastando l’ambiente incontaminato con la sua industria. Egli distrugge per raggiungere il potere rappresentato dall’Anello, pur partendo da una iniziale e sincera curiosità intellettuale che però si deforma ed evolve in abilità ingegneristica per arrivare a corrompersi e tramutarsi in odio e disprezzo per l’ambiente naturale. Il passaggio finale è quello che porta non solo alla creazione di “macchine” atte al soddisfacimento dei propri fini, ma addirittura alla distruzione del bello per il solo gusto di farlo. 

Isengard e Mordor (e per poco tempo anche la Contea soggiogata dall’industria di Sharkey, lo stesso Saruman, con i suoi sgherri e la complicità di alcuni hobbit) diventano i luoghi e gli emblemi della modernità in cui tutto è massificato e la Scienza corrotta distrugge l’ambiente e incatena i popoli liberi per asservirli al proprio desiderio di controllo e potere.

Tra i molti commentatori di questi aspetti della visione tolkieniana della tecnologia, piace ricordare Isaac Asimov: “Mordor, è il mondo industriale che si evolve sempre di più ed estende il suo potere su tutto il pianeta, distruggendolo e avvelenandolo (…). Il Primo Anello è la seduzione esercitata dalla tecnologia, la voglia di prodotti ottenuti più facilmente e in maggiori quantità (…), è tutte le cose che la gente cerca quando non le ha e a cui non può rinunciare quando le ha” (I. Asimov, Guida alla fantascienza, Mondadori, Milano 1984, pp. 216- 217).

Anche l’insospettabile Asimov quindi, grande promotore della ragion scientifica, concorda nel condannare certa scienza applicata e destinata a null’altro che la realizzazione di scopi “veloci” senza una visione a lungo termine, atti unicamente a soddisfare desideri immediati.

Questo modo di concepire il progresso scientifico-tecnologico che Tolkien ha elaborato nel corso della sua vita trova certamente origine in alcuni accadimenti biografici che risalgono alla sua infanzia.

I suoi ricordi più felici sono quelli che ritraggono lui e suo fratello che si rincorrono attorno a un vecchio mulino nei pressi di Birmingham, nella verde e dolce campagna del Worcesteshire all’alba del ‘900. 

È questa la scena che si sarebbe trovato di fronte chi per caso fosse passato da quelle parti più di 120 anni fa. 

Gli anni vissuti presso il borgo di Sarehole avrebbero in seguito segnato la sua vita e la sua produzione letteraria. La Contea, con le sue dolci colline e i suoi boschi, nasce dai ricordi di quei paesaggi e di quella tranquillità che nel tempo è andata perduta.

Il professore di Oxford avrebbe sempre ricordato con dispiacere l’arrivo dell’industria e delle macchine nei luoghi della sua infanzia e questo sarebbe poi diventato uno dei temi ricorrenti nelle sue opere.

E chissà cosa penserebbe di noi oggi, osservandoci inebetiti di fronte a questi magici schermi luminosi (che assomigliano pericolosamente a dei Palantir spalancati sull’occhio di Sauron) che soddisfano facili desideri, producendone sempre altri e nuovi, in una rincorsa continua, utile solo ad alimentare sistemi di potere e controllo e dove l’arte e l’incanto degli elfi sono solo un vago ricordo perduto nel tempo.

Passando in rassegna alcuni passi delle opere di Tolkien che trattano della Macchina sotto la consueta forma fiabesca o mitica, possiamo cominciare con Lo Hobbit.

Quando Bilbo e i nani cadono nelle grinfie degli orchi delle montagne nebbiose, Tolkien li descrive in questo modo:

“Come si sa, gli orchi sono creature malvagie e crudeli. Non fanno cose belle, però ne fanno molte di ingegnose. Possono scavare gallerie e miniere con bravura pari a quella dei nani più abili, quando lo vogliono, anche se di solito sono disordinati e sporchi. Fanno molto bene martelli, asce, spade, pugnali, tenaglie e anche strumenti di tortura, o li fanno fare in base ai loro disegni ad altra gente, prigionieri e schiavi che devono lavorare finché non muoiono per mancanza di aria e di luce. Non è improbabile che abbiano inventato alcune delle macchine destinate ad affliggere il mondo, specialmente gli ingegnosi congegni per uccidere un gran numero di persone tutte insieme, poiché ruote, ingranaggi ed esplosioni gli sono sempre piaciuti moltissimo, così come lavorare il meno possibile con le proprie mani; ma in quei giorni e in quelle contrade selvagge non avevano ancora fatto tanti progressi (come vengono chiamati)”. 

Orchi ingegnosi, ma non a fin di bene. Il progresso della tecnica come regressione e non come miglioramento verso un bene maggiore. Macchine create per creare dolore o assoggettare gli altri.

I Silmaril, pur non essendo  stati creati con lo scopo di controllare ed esercitare il Potere sugli altri, si sono rivelati un’arma doppio taglio: l’arte sub-creativa per eccellenza di Fëanor, imbrigliando la luce degli Alberi ormai distrutti, avrebbe dovuto essere fine a sé stessa, un atto artistico puro, ma scatenò la brama di possesso che poi produsse il fratricidio elfico e tutte le sventure che seguirono.

Il desiderio di conoscenza elfico (che si identifica col puro intento dello scienziato e del ricercatore) di mantenere belle le cose e giovane il mondo ha poi portato nuovamente nella Seconda Era gli elfi a cadere nell’inganno del Vala ribelle Sauron e a forgiare gli anelli del Potere. Sauron però creò l’Unico con l’intento di tenerli sotto controllo e quindi creò la Macchina per antonomasia, l’oggetto che poteva asservire le volontà altrui, che dava potere e longevità, che ingannava le menti con visioni di un mondo perfetto e di una vita immortale, ma che produceva dipendenza, privava della libertà e addirittura della identità, annullando il libero arbitrio di ogni creatura. 

La mortalità, concepita da Dio inizialmente come un dono agli uomini per slegarli dalla ruote del mondo, fu quindi vista come una punizione da cui fuggire  senza capire che in cambio si può solo ricevere una longevità seriale dove tutto è immobile, dove il mutamento e la libertà sono negati.

A far da contraltare all’Unico Anello ci sono i tre anelli elfici che rappresentano la magia buona, anche se, come abbiamo, visto finalizzata a fermare il tempo per rendere piccole aree geografiche della Terra di Mezzo delle isole atemporali “imbalsamate” in cui il ricordo delle terre al di là del mare rimanga incorrotto. Quando l’anello viene distrutto anche queste enclave elfiche dovranno svanire per sempre e gli elfi torneranno all’Ovest perdendo i loro poteri.

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

2 risposte su “La Macchina”

È terribile, sembra la previsione del nostro futuro, la fine delle cose che contano quelle per cui vale la pena di vivere. Eppure.. nello stesso tempo senza la tecnologia non avrei potuto gustare questo bellissimo articolo. Grazie

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