Le porzioni e le frequenze di consumo dei vari alimenti contano anche quando andiamo a considerare il loro impatto ambientale.
Non è corretto, come spesso accade, andare semplicemente a comparare (per esempio) le emissioni di CO2 per Kg di prodotto (e quindi non trovo molto corretta la proposta delle etichette “ambientali” sulle confezioni)
Infatti i vari alimenti hanno raccomandazioni di consumo diverse e inoltre apportano nutrienti molto diversi tra loro.
Esempi (alcuni sono estremi, ma è per far capire)
1Kg di manzo “emette” quasi 100Kg di CO2
1Kg di pollame, circa 10Kg
1Kg di frutta, in media circa 1Kg di CO2
1Kg di verdura, in media 0,5Kg
Ok, ma la quantità massima suggerita di carni rosse settimanali è 100g. Di carni bianche 200g
Per la frutta è “obbligo” mangiarne 3,5Kg a settimana. Idem per la verdura.
Ricalcoliamo
10Kg di CO2 per il manzo
2Kg per il pollame
3,5Kg per la frutta
1,75Kg per la verdura
Come si vede, i conti si ridimensionano non poco.
Poi, quei 300g di carne a settimana ci portano circa 60g di proteine contro circa 10g per 3Kg e mezzo di frutta. Stesso ragionamento si può fare per ferro, zinco, vitamina B12 che sono apportati in maniera differente dai cibi animali rispetto ai vegetali.
Insomma, è complicato. Gli studi ci dicono che una dieta vegana è probabilmente comunque la migliore per impatto ambientale (anche a livello di consumo di suolo, acqua , ecc.), ma non tutti possono PERMETTERSELA.
Neppure qui in occidente e figuriamoci in altre parti del mondo dove il fabbisogno di proteine e alcuni micronutrienti è critico.
Si può fare molto per abbattere il costo ambientale della dieta e non c’è dubbio che la prima cosa sia ridurre l’apporto di cibi animali (soprattutto manzo), ma non è tutto così logico e immediato come sembra.
In figura alcune emissioni per Kg di prodotto. Potete divertirvi a fare le vostre considerazioni, tenendo presente la quantità di quel particolare cibo che mangiate e le raccomandazioni delle linee guida (vedete per esempio il latte…)
