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L’Ósanwe-kenta: la trasmissione del pensiero, il corpo e l’alterità degli elfi

Nel capitolo “Molte separazioni” c’è un momento in cui Tolkien mostra Elrond, Galadriel, Celeborn e Gandalf avere una strana “conversazione silenziosa”. 

La compagnia sta per dividersi dopo la guerra e la caduta di Sauron e, nei pressi dei cancelli di Moria, nell’Eregion, decide di fermarsi per qualche giorno per discutere delle ultime cose.

Questa è la descrizione di ciò che accade. 

“Sovente, quando gli Hobbit erano ormai da tempo avvolti nel sonno, essi sedevano tutti insieme sotto le stelle e rimembravano i tempi scomparsi e tutte le loro gioie e sofferenze nel mondo, o discutevano dei giorni a venire. Se fosse passato qualche viaggiatore solitario avrebbe veduto e udito ben poco, e gli sarebbe parso di vedere soltanto figure grigie scolpite nella pietra, memorie di tempi remoti perse in terre disabitate. Essi rimanevano infatti immobili, e non parlavano con la bocca, ma le loro menti comunicavano; e i loro occhi luminosi si muovevano e si accendevano mentre i loro pensieri volavano dall’uno all’altro.”

La raffigurazione degli elfi come esseri immobili scolpiti nella pietra, descrive benissimo la loro antichità e la loro estraneità dagli uomini e da un mondo che sta svanendo, di cui ormai non fanno più parte.

Gli elfi infatti non sono banalmente “uomini con le orecchie a punta”, ma sono spiriti immortali incarnati, legati per sempre al mondo, impossibilitati a lasciarlo e con caratteristiche “ontologiche” particolari.

Tolkien le descrive in un saggio, l’Ósanwe-kenta, scritto attorno al 1959-60, che immagina scritto da un anonimo elfo il quale riassume il pensiero del saggio Pengolod di Gondolin su questi argomenti. 

L’Ósanwe-kenta è quindi un testo elfico scritto per gli elfi che ragiona su alcuni concetti come il linguaggio, la corporeità, la trasmissione del pensiero, la volontà e la nolontà, l’apertura e la chiusura della mente tra gli incarnati e tra i Valar e Maiar, le Potenze angeliche. 

I Valar, dice l’Ósanwe, non sono “aperti” al pensiero di Eru (Dio), non possono conoscere la sua volontà se questi non glielo permette e questa è una “legge” divina che vale per tutti gli incarnati, elfi compresi. 

In un mondo non “caduto”, libero dal male, tutte le menti sarebbero invece aperte.

La chiusura, la nolontà, impedisce qualsiasi scambio di pensiero tra tutte le creature. Non c’è modo di infrangere questo ostacolo e da ciò consegue anche che i Valar, non potendo leggere la mente di Dio, non possono conoscere il suo progetto e vedere il futuro, se non in quanto questa possibilità è permessa in parte da Eru stesso. 

Il possesso di un corpo (il hröa), ne limita la capacità di trasmettere il pensiero, perchè chi possiede una “carne” per molto tempo e la utilizza per scopi personali e per esercitare capacità corporali (mangiare, bere, riprodursi) perde in parte la “forza trasmittente”. Questa “diminuzione” vale anche per coloro che usano il linguaggio parlato a lungo.  

Perciò gli incarnati, elfi compresi, devono rafforzare i vincoli di trasmettitore e ricevente mediante tre fattori: affinità (cioè amicizia, parentela o amore), urgenza e autorità del trasmittente. 

Queste caratteristiche, quando presenti, potenziano la trasmissione.  

Vicinanza e lontananza invece non influiscono. Non è lo spazio che può “rallentare” la capacità di trasmettere il pensiero. 

I Grandi Valar all’inizio dei tempi si “rivestono” di un corpo fisico per scendere in Arda, ma non lo usano per scopi fisici se non in frangenti eccezionali.

Chi possiede e utilizza un corpo per molti anni, invece, comincia a pensarlo come parte di sé e a non poterne fare a meno. 

Lo vediamo in Morgoth, il quale non può fare a meno neanche di pensare di non avere un corpo ed è legato strettamente alla materia di Arda e teme la perdita del corpo e la “morte”, una volta ferito in battaglia, pertanto generalmente rimane chiuso nella sua roccaforte di Angband e non ne esce quasi mai. 

Egli riversa tutta la sua malvagità nel mondo che, secondo quanto dice Tolkien, diventa il vero e proprio “Anello di Morgoth”, con un paragone che si collega all’Anello di Sauron. 

Morgoth non può spezzare il comandamento che riguarda la nolontà altrui, ma impara ad aggirarlo: la forza della sua mente produce paura nelle altre menti e lui approfitta di questo per introdurre falsi pensieri sulla sua benevolenza ed amicizia.

Cosi alcuni elfi, uomini, Maiar e Valar cedono e passano dalla sua parte. 

Un’altra strategia riguarda il padroneggiamento del linguaggio parlato: egli esercita pressioni con minacce di dolore, inoltre usa la menzogna e tutto questo senza violare il pensiero altrui. 

È questo il cosiddetto “marring” di Arda: l’infusione della malizia di Morgoth nelle cose e la sua influenza nella Storia umana che tutt’oggi permane, nonostante il suo spirito non soggiorni più nel mondo.

https://accademia.tolkieniana.net/tesi/eldalie/osanwe.html

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

2 risposte su “L’Ósanwe-kenta: la trasmissione del pensiero, il corpo e l’alterità degli elfi”

Cosa si intende esattamente per nolontà? Termine che non conoscevo..? Grazie in anticipo, articolo molto interessante come sempre

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