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Odds Ratio, Rischio Relativo e carni bianche

La gran parte degli studi nutrizionali sono osservazionali, cioè di tipo epidemiologico: si traggono conclusioni unicamente OSSERVANDO grandi gruppi di persone. Perciò non si fanno in genere “esperimenti” attivi, ma si usano i metodi della statistica per vedere se ci sono correlazioni tra due fattori (per esempio il rischio di infarto nella popolazione che beve alcolici confrontato con lo stesso rischio in una popolazione che non ne beve).

Quando si trova una correlazione più o meno forte, però, non è detto che sia presente anche un rapporto causa-effetto. Per esempio l’aumento del consumo di acque minerali nel tempo è associato all’aumento del tasso di obesità, ma non possiamo certo dire che l’acqua faccia ingrassare. A volte queste associazioni sono legate tra loro da un altro fattore nascosto, a volte sono solo casuali.

Se tanti lavori di questo tipo, condotti su tantissime persone, forniscono sempre lo stesso risultato, si può ipotizzare un legame di causa-effetto e se poi si arriva anche a evidenziare i meccanismi molecolari sottostanti, questi risultati si fanno sempre più robusti e diventano raccomandazioni alla popolazione. È il caso del legame tra consumo di carni lavorate e tumore del colon: tanti lavori concordano su questa associazione e ci sono ipotesi convincenti sui vari fattori che possono causare la malattia (ferro eme, conservanti, calorie, colesterolo, TMAO, ecc). Ecco quindi che queste carni sono classificate come cancerogene certe per l’uomo e se ne consiglia un consumo occasionale.

Ma come si giudicano le evidenze scientifiche?

Abbiamo visto che in nutrizione ci si basa soprattutto su studi osservazionali, che “guardano” le abitudini delle persone e trovano correlazioni più o meno forti tra il consumo di un certo cibo (o un comportamento, come la sedentarietà per esempio) e lo sviluppo di malattie o l’aumento/riduzione della mortalità generale. 

Perciò questi lavori epidemiologici hanno SEMPRE un certo grado di incertezza, perchè non sono facili da fare e ci sono molte variabili da “scremare”

Ecco che quindi si pone il problema di cosa SUGGERIRE alla gente. Cosa può diventare un “consiglio” e cosa no?

Quando gli studi sono tanti, fatti bene, coinvolgenti tantissime persone, ripetuti e confermati e hanno anche una plausibilità biologica, le loro conclusioni possono diventare “raccomandazioni” e si può andare oltre l’ipotesi di una semplice correlazione, cominciando a pensare che esista un legame causa/effetto. 

Altrimenti, con studi non conclusivi, questo non avviene perchè la “forza” delle evidenze non è sufficiente e rimaniamo nel limbo del “non sappiamo ancora”.

Per esempio: latte/yogurt. Gli gli studi ci dicono che il suo consumo (2-3 porzioni da 125g al giorno) riduce il rischio di tumore al colon retto e che il grado di evidenza è PROBABILE. Questo giustifica la raccomandazione al consumo. 

Parallelamente gli studi hanno evidenziato, con grado di evidenza LIMITATO, che un consumo superiore a 400g aumenti il rischio di tumore alla prostata. Questa “evidenza” ha un grado tale da NON giustificare la raccomandazione di EVITARE il consumo di latte e latticini e comunque riguarda quantità superiori a quelle suggerite per il colon. 

Ergo si conclude che il consumo nelle quantità suggerite è tale da ridurre il rischio per il colon (con prove probabili) e non aumentare in modo sostanziale (anche se le prove non fossero limitate, come invece sono) quello alla prostata (prove limitate sono anche legate ad un effetto protettivo per il tumore al seno in pre-menopausa). 

Si tratta sempre di valutazioni costo/beneficio. 

Per questo il consiglio finale rimane sempre quello di leggere le linee guida rivolte alla popolazione e non incartarsi a valutare i singoli studi presi a caso in rete o fatti vedere dal guru di turno per tirare acqua al proprio mulino ideologico o finanziario.

Gli studi osservazionali possono essere retrospettivi o prospettici:

  1. Studi retrospettivi (o caso-controllo): si guarda al passato. Si prende una popolazione che per esempio ha mangiato regolarmente l’alimento che ci interessa studiare (i casi) e la si confronta con una che non lo ha mai mangiato (i controlli) cercando di capire, tolti i fattori confondenti, se ci sono differenze di mortalità o di incidenza di malattie.
  2. Studi prospettici (o di “coorte”): si osserva il futuro. Si seguono le due popolazioni nel tempo (chi mangia un certo alimento e chi no, per esempio) e si osserva cosa succede a livello di insorgenza di malattie o numero di morti.

I lavori caso-controllo sono più veloci (i dati sono già presenti), ma più soggetti a errori. Quelli di coorte sono più lunghi, ma più robusti perchè si può costruire “l’esperimento” più accuratamente.

Ma come misurare quantitativamente la probabilità che un evento (malattia, morte) si verifichi a seguito della esposizione a un fattore di rischio (alimento per esempio) rispetto alla popolazione che non è esposta (non mangia il tale alimento o ne mangia poco)?

Per gli studi retrospettivi si utilizza il cosiddetto Odds Ratio (o rapporto di probabilità), per quelli di coorte il Rischio Relativo. Sono entrambe misure di associazione e modi per esprimere una probabilità.

Odds Ratio

Prendiamo come esempio il lavoro che citerò alla fine: consumo di carni bianche e mortalità generale. Si controlla cosa è successo a due gruppi di persone, uno che ha mangiato carni bianche di abitudine e uno che non le ha mangiate o ne ha mangiate meno del primo gruppo. E si vanno a contare i morti dopo un tot di tempo. Esempio con numeri a caso:

Morte SIMorte NO
Carni bianche SiAB
Carni bianche NOCD

Dove A è il numero di chi ha mangiato regolarmente carni ed è deceduto (per es. 3)

B, chi le ha mangiate e non è morto (500)

C, chi non le ha mangiate ed è morto (15)

D, chi non le ha mangiate e non è morto (1000)

Adesso dobbiamo calcolare A/C e B/D. Il primo rapporto rappresenta l’odds (probabilità) di esposizione dei casi (con che frequenza mangia carni bianche chi poi muore), il secondo quello dei controlli (con che frequenza le mangia chi poi non muore). A/C=0,2; B/D=0,5.

Infine calcoliamo l’odds ratio cioè il rapporto dei due rapporti: (A/C)/(B/D)=0,4

Un odds ratio inferiore a 1, come in questo caso, si interpreta dicendo che chi mangia carni bianche è più protetto rispetto a chi non le mangia e muore 1,5 volte meno (0,6/0,4), oppure che ha il 60% di probabilità in meno di morire rispetto a chi non le mangia (0,4-1)x100=-60%.

Se l’OR fosse stato maggiore di 1 allora mangiare carni bianche avrebbe aumentato la mortalità.

Se fosse stato uguale a 1 non ci sarebbe stata alcuna associazione tra le due cose.

Il tutto è molto più complicato perchè si devono calcolare gli intervalli di confidenza e altri parametri statistici che qui tralasciamo.

Rischio Relativo

Ammettiamo di cercare le stesse cose ma in uno studio prospettico. In questo caso il valore del RR si calcola sul TOTALE di coloro che sono esposti (mangiano carni bianche) o non esposti (non le mangiano). Così (faccio i conti con i numeri di cui sopra):

Incidenza degli esposti: A/(A+B)=3/503=0,005 (0,5%)

Incidenza dei non esposti: C/(C+D)=15/1015=0,014 (1,4%)

RR=[A/(A+B)]/[C/(C+D)]=0,005/0,014=0,35

Il RR si interpreta nello stesso modo dell’OD: chi mangia carni bianche muore 1,85 volte meno (cioè il 65% meno) di chi non le mangia.

Nei lavori scientifici si inserisce tutto in un grafico come questo

Questa in particolare è una metanalisi che raggruppa tutti gli studi relativi ad un argomento (in questo caso carni bianche e mortalità generale). Ogni lavoro ha il suo odds ratio con i suoi intervalli di confidenza rappresentati dalla lunghezza delle barre orizzontali, mentre la grandezza dei quadratini rispecchia la numerosità del campione dei vari studi. I simboli romboidali sono gli OR parziali e totali. In questo caso l’OR finale è inferiore a 1, perciò chi mangia più carni bianche è protetto rispetto a chi ne mangia meno (chi le mangia in maggior quantità ha il 6% in meno di probabilità di morire per qualsiasi causa).

Se vi sembra che il 6% sia poca roba, dovete applicarlo ai grandi numeri e agli altri fattori di rischio nutrizionali: se tanti correggessero tanti PICCOLI errori alimentari (più vegetali, meno carni lavorate e rosse, meno bevande zuccherate, più legumi, ecc.), i fattori protettivi si sommerebbero e il rischio di ammalarsi si sentirebbe in maniera significativa in numero maggiore di persone.

Insomma carni bianche si, ma sempre con moderazione (200g a settimana max) perchè bisogna tener conto dell’equilibrio e varietà della alimentazione nel suo complesso oltre a fare anche considerazioni ambientali ed etiche.

https://www.mdpi.com/2072-6643/13/2/676

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

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