(Alcuni di questi fattori sono anche, più o meno fortemente, condivisi con un aumentato rischio tumorale e metabolico)
- Un sottostante, prolungato stress ossidativo (eccesso di radicali liberi) e infiammatorio (eccesso cronico di mediatori della infiammazione)
- Ipertensione arteriosa
- Dislipidemia, in particolare un elevato colesterolo totale, un rapporto LDL/HDL elevato e ipertrigliceridemia
- Alterazioni del metabolismo del glucosio: un iperglicemia e iperinsulinemia croniche
- Sovrappeso e obesità come fattori di rischio a sé stanti, ma anche come causanti le condizioni sopra menzionate
Fattori dietetici che riducono lo stress ossidativo:
- Evitare un eccesso energetico: mantenere un peso corretto (basso livello di grasso viscerale)
- Limitare il consumo di grassi cotti ad elevate temperature, cibi grigliati, affumicati e fritti, soprattutto di origine animale
- Evitare un introito eccessivo di grassi polinsaturi (come quelli presenti nei cibi processati)
- Evitare un introito esagerato di minerali pro-ossidanti come il ferro (in particolare il ferro “animale”: salumi quasi zero)
- Dieta ricca di frutta e verdura e alimenti vegetali integrali
Fattori dietetici che riducono l’infiammazione:
- Evitare un eccesso energetico: mantenere un peso corretto (basso livello di grasso viscerale)
- Tenere basso lo stress ossidativo (punti precedenti)
- Mantenere un adeguato rapporto omega6/omega3 (poca carne, più pesce, alimentazione a prevalenza vegetale)
- Pochi grassi saturi e grassi trans (poca carne, dolci, alimenti processati)
- Avere un ambiente microbico intestinale sano (dieta vegetale, eventuali cibi fermentati)
Fattori dietetici che prevengono l’ipertensione:
- Evitare un eccesso energetico: mantenere un peso corretto (basso livello di grasso viscerale)
- Evitare un eccesso di sodio (pochissimi salumi, alimenti processati)
- Adeguato introito di potassio, magnesio e calcio (vegetali, latte o yogurt o bevande vegetali)
- Adeguato rapporto omega6/omega3
- Evitare il più possibile gli alcolici
Fattori dietetici che prevengono la dislipidemia:
- Evitare un eccesso energetico: mantenere un peso corretto (basso livello di grasso viscerale)
- Limitare i grassi saturi e quelli trans (poca carne, dolci, alimenti processati)
- Adeguata assunzione di grassi monoinsaturi (es. olio di oliva extravergine)
- Adeguato rapporto omega6/omega3
- Dieta ricca in fibre (alcune come i betaglucani, particolarmente efficaci, ma bene tutta la fibra)
Fattori dietetici che mantengono un corretto metabolismo del glucosio:
- Evitare un eccesso energetico: mantenere un peso corretto (basso livello di grasso viscerale)
- Limitare i grassi saturi e quelli trans (poca carne, dolci, alimenti processati)
- Dieta a base prevalente di cereali integrali e ricca di fibre. Moderare dolci e cereali raffinati
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A questi elementi si aggiunga: attività fisica costante e moderata (non eccessiva), astensione dal fumo, sonno regolare.
Nota: rileggere bene e notare come al primo posto ci sia sempre l’eccesso di energia e come da nessuna parte sia indicato un alimento particolare da evitare o preferire o una particolare “procedura” (come mangiare il pane raffermo o il fritto funzionale) o dieta (visto che l’aspetto più importante è la adeguatezza energetica tutte le diete che aiutano a rientrare nel peso corretto vanno bene, ma per rispettare gli altri punti elencati, alla fine viene fuori solo una cosa, il modello mediterraneo).
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10386903/#B54
https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/CIRCULATIONAHA.115.020406


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Score2: un utile indice di rischio cardiovascolare e qualche osservazione
Le Linee guida ESC (Società di cardiologia europea) del 2021 sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nella pratica clinica, hanno introdotto questo algoritmo che valuta il rischio di incorrere da qui 10 anni in un evento cardiovascolare.
L’algoritmo si applica solo a persone apparentemente sane. Non si applica a persone con malattie cardiovascolari aterosclerotiche documentate o altre condizioni ad alto rischio come diabete mellito, ipercolesterolemia familiare o altri disturbi genetici o rari dei lipidi o della pressione sanguigna, malattie renali croniche (tutte condizioni già definibili come ad alto rischio) e alle donne in gravidanza.
Il calcolo si basa su fattori come sesso, età, pressione arteriosa e abitudine al fumo e ovviamente colesterolemia.
Due sono le cose che vorrei sottolineare:
1. I calcoli differiscono per un prerequisito: le zone europee in cui si vive. Ne esistono quattro (secondo OMS) alcune sono a maggior rischio di altre come si vede in figura. E noi italiani, quelli della dieta mediterranea viviamo in zona gialla (rischio moderato). Eravamo verdi prima, ora siamo gialli.
2. A livello di colesterolemia conta, nel calcolo, il colesterolo detto “non-hdl”, cioè in pratica il colesterolo totale meno l’hdl.
Perchè? Perchè il colesterolo “non-HDL”, così come il solo LDL, non è semplicemente “associato” al rischio cardiovascolare, ma è CAUSALMENTE legato a questo, senza ombra di dubbio. È un fattore di rischio indipendente e più basso riusciamo a tenerlo meglio è. Invece l’HDL (quello “buono”) mostra solo una associazione statistica con la riduzione del rischio e non ci sono prove che più alto è, meglio sia per il rischio CVD. Anzi quando è molto alto potrebbe essere un rischio in più. Ecco perchè il famoso rapporto Col.Tot./HDL non ha più senso.
Altri fattori di rischio non compresi nel calcolo diretto, ma inseriti nei prerequisiti geografici sono il diabete tipo2 e l’eccesso di grasso corporeo. Noi in Italia siamo gialli e partiamo svantaggiati rispetto alla Francia per esempio, grazie anche a questi fattori.
Le linee guida ribadiscono l’importanza di un peso corretto, dell’attività fisica e di una dieta a prevalenza vegetale, in cui i cibi animali siano ridotti (importante il pesce, però).
Non c’è spazio per i carnivori chetogenici, per medici (e mediche) che sui social fanno pubblicità al burro, alla sugna e a 50 uova a colazione. Non c’è spazio per i personal trainer da 400k followers che demonizzano la pasta e i biscotti.
Non c’è spazio per i chetini.
Di seguito la carta di rischio per l’Italia (rischio moderato)

Esempio: donna sana (senza diabete, insufficienza renale, ecc).
Non fumatrice. 63 anni. Pressione massima tra 120 e 139, con un colesterolo non-hdl di 204,
Il rischio di incorrere in un “evento” cardiovascolare a 10 anni sarà del 5% (cioè su 100 donne “così”, 5 avranno un problema cardiovascolare).
Se la pressione fosse più bassa si passerebbe al 4%, se fosse più alta si passa al 6%.
In base a questo livello di rischio 4-6% si è borderline per una terapia con statine per ridurre il colesterolo non-hdl a livelli più sicuri.
Se il soggetto fumasse o avesse una pressione ancora più alta dovrebbe prenderle per forza (e smettere di fumare).
Nota: se il soggetto fosse sovrappeso, perdere un po’ di peso farebbe scendere il colesterolo di quel tanto per metterlo al sicuro e non dover prendere niente (ma lo deve comunque dire il medico).
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Il rischio cardiovascolare viene classificato in quattro categorie:
• Basso (<2,5% per <50 anni, <5% per 50-69 anni) → Statine generalmente non indicate.
• Moderato (2,5-<7,5% per <50 anni, 5-<10% per 50-69 anni) → Statine possono essere considerate se il colesterolo LDL è elevato (>100 mg/dL o >2,6 mmol/L).
• Alto (7,5-<20% per <50 anni, 10-<15% per 50-69 anni) → Statine raccomandate se LDL > 70 mg/dL (1,8 mmol/L).
• Molto alto (≥20% per <50 anni, ≥15% per 50-69 anni) → Statine fortemente raccomandate, indipendentemente dai valori di colesterolo.
2️⃣ In base ad altre condizioni cliniche ad alto rischio, indipendentemente dallo SCORE2:
Le statine sono sempre raccomandate nei pazienti con:
• Malattia cardiovascolare accertata (prevenzione secondaria).
• Diabete mellito con danno d’organo o durata >10 anni.
• Malattia renale cronica da moderata a grave (eGFR <60 ml/min/1,73 m²).
• Colesterolo LDL ≥190 mg/dL (4,9 mmol/L) → terapia intensiva con statine.
• Ipertensione grave o familiarità per eventi cardiovascolari precoci.
https://web.aulss8.veneto.it/esalabo-allegati/a93-CarteRischio2021-SCORE2-2OPv2.pdf
https://academic.oup.com/eurheartj/article/42/34/3227/6358713?login=false#371852715

Focus su saturi e colesterolo LDL
Ci sono soggetti (che io definirei criminali, perchè sono potenziali responsabili di malattie e morti) che negano fatti che nessuno mette più in dubbio nella comunità scientifica.
Spesso sono medici, spesso sono biologi, spesso sono dietisti (con tutte le declinazioni al femminile) e sono i peggiori. Poi ci sono i personal trainer, i farmacisti e via discorrendo…
I fatti sono questi:
1. I grassi saturi in eccesso nella dieta aumentano il colesterolo “cattivo” (LDL) nel sangue (relazione CAUSALE)
2. Il colesterolo LDL in eccesso nel sangue aumenta CAUSALMENTE il rischio di eventi cardiovascolari (infarti, ictus, trombosi, ecc.) perchè contribuisce alla formazione della placca aterosclerotica: più colesterolo LDL = più rischio di eventi.
Chi vi racconta che queste due fattispecie non sono supportate da evidenze scientifiche, dice un GRANDE FALSO.
In particolare, innumerevoli evidenze mostrano che ridurre i saturi a favore di altre componenti della dieta è salutare (vedi figura)
La sostituzione del 5% dell’apporto energetico da grassi saturi con un apporto energetico equivalente da grassi polinsaturi, grassi monoinsaturi o carboidrati da cereali integrali è associata in modo altamente significativo a un rischio inferiore del 25%, 15% e 9% di malattie cardiovascolari perchè diminuisce il colesterolo LDL, ma anche i trigliceridi (altro marker indipendente di rischio cardiovascolare).
Quindi, i grassi polinsaturi degli oli vegetali (principalmente n-6, acido linoleico: semi e frutta secca in guscio e oli come quelli di girasole o mais) riducono le malattie cardiovascolari e lo fanno in misura leggermente maggiore rispetto addirittura ai grassi monoinsaturi (principalmente acido oleico: olio di oliva) quando sostituiscono i grassi saturi.
Se ci fate caso questo è l’opposto di quel che vanno dicendo i vari carnivori e cioè che i saturi sono ottimi e gli insaturi sono i veri cattivi.


https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD011737.pub3/full

https://www.bmj.com/content/bmj/361/bmj.k2139.full.pdf

L’impatto del consumo di grassi saturi sul colesterolo nel sangue
Le fonti indicano chiaramente che esiste una relazione causale tra il consumo di grassi saturi e l’aumento del colesterolo nel sangue, in particolare del colesterolo LDL, considerato un fattore di rischio per l’aterosclerosi e le malattie cardiovascolari.
- La meta-analisi di Mensink del 2003, citata nella fonte, ha dimostrato che la sostituzione dei carboidrati con i grassi saturi aumenta il colesterolo LDL.
- Numerosi studi clinici randomizzati hanno dimostrato che la riduzione dell’assunzione di grassi saturi e la loro sostituzione con grassi polinsaturi vegetali riduce il colesterolo LDL e l’incidenza di malattie cardiovascolari.
- Questi risultati sono coerenti con gli studi su primati non umani, nei quali i grassi saturi hanno promosso l’aterosclerosi coronarica, mentre i grassi polinsaturi hanno ridotto il colesterolo LDL e l’aterosclerosi.
- La fonte afferma che il consenso scientifico, derivante da studi patofisiologici, genetici e clinici randomizzati, indica le particelle di colesterolo LDL come causa di malattie coronariche. L’effetto dei grassi saturi sui livelli di colesterolo LDL ha portato alla conclusione che i grassi saturi alimentari promuovono direttamente lo sviluppo di malattie coronariche.
- La fonte ribadisce la forte evidenza scientifica che collega i grassi saturi alimentari all’aumento del colesterolo LDL, definendolo una delle principali cause di aterosclerosi e malattie cardiovascolari.
È importante notare che l’effetto dei singoli acidi grassi saturi sul colesterolo LDL può variare leggermente. Ad esempio, l’acido stearico, presente nella carne bovina, nel cacao e nel lardo, non aumenta il colesterolo LDL quando sostituisce i carboidrati. Tuttavia, la sostituzione dell’acido stearico con grassi insaturi riduce comunque il colesterolo LDL.
Inoltre, è fondamentale considerare il contesto generale della dieta. L’effetto dei grassi saturi sul colesterolo LDL può essere influenzato dalla presenza di altri nutrienti nella dieta, come i grassi insaturi e i carboidrati.
In sintesi, le fonti presentano una solida evidenza scientifica a supporto di una relazione causale tra il consumo di grassi saturi e l’aumento del colesterolo LDL, un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.
Il Ruolo dell’LDL nella Formazione della Placca Aterosclerotica e nelle malattie CVD
Le fonti supportano fortemente l’affermazione che un eccesso di colesterolo LDL è una concausa della formazione della placca aterosclerotica.
- LDL come causa di malattie coronariche: Le fonti evidenziano un consenso scientifico, basato su studi patofisiologici, genetici e clinici randomizzati, che identifica le particelle di colesterolo LDL come una causa di malattie coronariche. L’effetto dei grassi saturi sui livelli di colesterolo LDL ha portato all’inferenza che i grassi saturi alimentari contribuiscono direttamente allo sviluppo di malattie coronariche.
- LDL e aterosclerosi: Le fonti descrivono il colesterolo LDL come un fattore di rischio chiave per l’aterosclerosi. Il processo aterosclerotico inizia con l’accumulo di LDL all’interno della parete arteriosa. Questo accumulo innesca una risposta infiammatoria, portando alla formazione della placca aterosclerotica.
- Evidenza da studi su animali: Gli studi su primati non umani, citati nelle fonti, dimostrano che diete ricche di grassi saturi promuovono l’aterosclerosi coronarica, mentre diete ricche di grassi polinsaturi, che riducono il colesterolo LDL, proteggono dall’aterosclerosi. Questi studi rafforzano il legame causale tra LDL e aterosclerosi.
- LDL e progressione dell’aterosclerosi: Le fonti spiegano che l’affinità di legame delle LDL ai proteoglicani vascolari è correlata positivamente all’estensione dell’aterosclerosi. Un’elevata concentrazione di LDL nel sangue aumenta la probabilità che queste particelle si leghino ai proteoglicani nella parete arteriosa, contribuendo alla formazione e alla progressione della placca.
- Dimensioni delle LDL: La fonte discute anche le diverse dimensioni delle particelle LDL e il loro impatto sull’aterosclerosi. Le particelle LDL più piccole, impoverite di colesterolo, sembrano essere più fortemente associate al rischio di malattie cardiovascolari rispetto alle particelle LDL più grandi, ricche di colesterolo.
In sintesi, le fonti forniscono una solida base scientifica per affermare che un eccesso di colesterolo LDL contribuisce in modo significativo alla formazione e alla progressione della placca aterosclerotica. La riduzione dei livelli di LDL, attraverso modifiche dietetiche e/o terapie farmacologiche, è quindi fondamentale per la prevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolari.
https://academic.oup.com/eurheartj/article/38/32/2459/3745109

Formazione della Placca Aterosclerotica: Un Processo Complesso
Le fonti descrivono il colesterolo LDL come un fattore chiave nel processo di formazione della placca aterosclerotica, con diversi studi che supportano questa affermazione. Ecco una breve spiegazione del processo, basata sulle informazioni presenti nelle fonti:
- Accumulo di LDL: Il processo inizia con l’accumulo di particelle di colesterolo LDL all’interno della parete arteriosa. Questo accumulo è favorito da un eccesso di LDL nel sangue.
- Risposta infiammatoria: L’accumulo di LDL nella parete arteriosa innesca una risposta infiammatoria. Le cellule del sistema immunitario, come i macrofagi, vengono attirate nell’area e iniziano a inglobare le LDL, formando cellule schiumose.
- Formazione della placca: L’accumulo di cellule schiumose, insieme a cellule muscolari lisce, tessuto connettivo e altri detriti cellulari, porta alla formazione della placca aterosclerotica. La placca cresce gradualmente nel tempo, restringendo il lume dell’arteria e riducendo il flusso sanguigno.
- Complicazione della placca: La placca aterosclerotica può diventare instabile e rompersi, innescando la formazione di un coagulo di sangue. Il coagulo può bloccare completamente l’arteria, causando un infarto miocardico o un ictus.
Fattori che influenzano la formazione della placca:
- Livelli di LDL: Come già discusso, un’elevata concentrazione di LDL nel sangue aumenta il rischio di aterosclerosi.
- Dimensioni delle LDL: Le particelle LDL più piccole sono più propense a penetrare nella parete arteriosa e a contribuire alla formazione della placca.
- Affinità di legame ai proteoglicani: L’affinità di legame delle LDL ai proteoglicani vascolari è correlata all’estensione dell’aterosclerosi. Un’elevata affinità di legame favorisce l’accumulo di LDL nella parete arteriosa.
- Infiammazione: L’infiammazione cronica contribuisce allo sviluppo e alla progressione dell’aterosclerosi.
- Altri fattori di rischio: Fumo, ipertensione, diabete e obesità sono altri fattori di rischio che possono accelerare la formazione della placca.
Importanza della prevenzione:
La formazione della placca aterosclerotica è un processo lento e silenzioso che può iniziare già nell’infanzia. Adottare uno stile di vita sano, che includa una dieta equilibrata, esercizio fisico regolare e l’astensione dal fumo, è fondamentale per prevenire l’aterosclerosi e le sue complicanze.
Come avviene un infarto e come l’obesità e l’infiammazione legano il tutto
Andiamo a ritroso, dalla causa scatenante a ciò che l’ha determinata:
1. Un infarto, in genere, è causato dalla ostruzione di un vaso da parte di un trombo
2. Il trombo è “materiale” che si è staccato da una placca aterosclerotica da qualche parte a monte del vaso colpito
3. La placca si è formata in anni (anche decenni) di esposizione a vari fattori di rischio:
Ipertensione
Ipercolesterolemia
Fumo
Diabete
Stress ossidativo
Infiammazione cronica
La formazione della placca è molto complessa:
a. Il “colesterolo” LDL che gira nel sangue si infiltra sotto l’endotelio (la parete interna delle arterie), si ossida e innesca una risposta infiammatoria
b. I monociti (un tipo di globuli bianchi) vengono reclutati sul posto e si trasformano in macrofagi che fagocitano le LDL ossidate
c. I macrofagi sovraccarichi si trasformano in cellule schiumose (foam cells) che si accumulano originando la stria lipidica, il primo segno visibile di occlusione del vaso
d. Le foam cells muoiono e rilasciano lipidi aumentando l’infiammazione
e. Le cellule muscolari lisce della parete arteriosa si attivano e migrano verso la placca per sigillarla formando così una capsula fibrosa, che alla lunga può diventare instabile
f. L’infiammazione rende la capsula più fragile. La capsula si può assottigliare o rompere
g. Se accade, arrivano le piastrine e i fattori della coagulazione che formano un trombo il quale può chiudere il vaso (o staccarsi e chiuderlo a valle)
L’obesità, in particolare quella viscerale, è un nodo centrale che lega ipertensione, diabete e dislipidemia attraverso meccanismi comuni: insulino-resistenza, attivazione del sistema renina-angiotensina-aldostersone (RAAS), stress ossidativo, infiammazione sistemica e disfunzione endoteliale.
L’infiammazione è il fattore comune.
Il tessuto adiposo viscerale non è solo un deposito, ma un organo endocrino che:
Produce citochine pro-infiammatorie (es. TNF-alfa, IL-6).
Inoltre attiva macrofagi residenti, che perpetuano l’infiammazione sistemica.
Contribuisce a ipertensione e disfunzione endoteliale.
Aumenta l’insulino-resistenza, predisponendo al diabete.
Favorisce l’ossidazione delle LDL
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La paura delle statine
- Non sempre basta mangiare bene per ridurre il colesterolo
Lo stile di vita è importante per prevenire il problema del colesterolo e piccoli aumenti possono rientrare con uno stile di vita corretto, ma ci sono molte situazioni in cui la genetica prevale e altre in cui purtroppo non si può (più) intervenire sullo stile di vita. Il colesterolo inoltre può aumentare a causa di altri farmaci che si devono assumere per forza.
Le statine bloccano l’enzima chiave della produzione endogena di colesterolo e non c’è paragone con quello che può fare la dieta.
La dieta, da sola, riesce a ridurre il colesterolo LDL del 5-15%
https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/01.cir.0000437740.48606.d1

Le statine del 30-60%. Chi ha un colesterolo totale a 400, non può basarsi sulla dieta per ridurlo.
https://academic.oup.com/eurheartj/article/39/27/2540/4082634

2. Il colesterolo “cattivo” (lipoproteine a bassa densità, LDL) CAUSA la placca aterosceltorica e la malattie cardiovascolari.

Studio su Lancet (2017): 2 milioni di persone, oltre 300 lavori (randomizzati e controllati) e 150mila eventi cardiovascolari esaminati.
Ogni 10 anni passati con valori di LDL > 100-116mg/dl il rischio di un evento CV aumenta del 39%.
https://academic.oup.com/eurheartj/article/38/32/2459/3745109
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3. Le statine NON fanno male al fegato e ai muscoli.
Una metanalisi su 170mila soggetti (Lancet, 2017) ha mostrato che problemi muscolari clinicamente significativi si sono verificati in meno dell’1% dei soggetti in terapia con statine.
Gli aumenti degli enzimi epatici sono ancora più rari e poco significativi.
https://www.thelancet.com/article/S0140-6736(16)31357-5/fulltext
Solo un 5-10% dei soggetti può avere qualche doloretto/crampo all’inizio della terapia.

https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/circoutcomes.111.000071
4. Gli integratori di riso rosso fermentato (RRF) sono statine (Lovastatina) a basso dosaggio
Il RRF contiene monacolina k che è identica alla Lovastatina. Il processo per ottenere la monacolina k non ha nulla di “naturale”, ma è un processo chimico industriale di estrazione anzichè di sintesi (quello usato per i farmaci). Ma una molecola è una molecola è una molecola.
Problemi del RRF: gradi purezza e concentrazioni meno controllati dato che è in commercio come integratore; stessi effetti collaterali delle statine, ma in assenza di monitoraggio medico; costo: 30cp di Lovastatina 20mg costano 8€ circa; un integratore famoso (che poi è un vero farmaco a basso dosaggio) contiene Lovastatina 3mg e costa 20-25€. BigPharma?
Il RRF abbassa certamente il colesterolo, ma con maggiori problemi di sicurezza e minori evidenze (cioè sappiamo che abbassa il colesterolo, ma non se salva vite).
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0021915015002221

5. Il Coenzima Q10 preso in abbinamento alla statina non serve a niente
L’idea che il CQ10 riduca gli effetti collaterali delle statine parte da una verità che si scontra col marketing.
Le statine abbassano i livelli di Q10 nell’organismo perchè influiscono sulla stessa via metabolica che riduce l’enzima chiave di produzione del colesterolo endogeno. Bloccando l’uno, si blocca l’altro.
Il CoenzimaQ10 (Ubichinone) è importante per il funzionamento delle cellule di tutto il corpo e le statine ne riducono i livelli nel corpo, MA la sua riduzione legata alla assunzione di statine NON è stata associata alla comparsa di malattie e NON è stata associata alla riduzione degli effetti collaterali delle statine (che comunque sono piccolissimi).
Prenderlo non servirà a niente.
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0021915020301386

https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/JAHA.118.009835

Conclusioni
https://www.thelancet.com/article/S0140-6736(10)61350-5/fulltext

Le statine sono sicure e funzionano
Per ogni riduzione di 39mg/dl di LDL per almeno 5 anni si ha una riduzione del 22% di mortalità CV, 23% di infarti e 17% di ictus.
Considerando il numero di italiani (circa 11 milioni in questo momento) che hanno il colesterolo alto, fate due conti per vedere l’impatto sulla salute dell’uso di statine. Sono vite salvate.
Diffondere falsità produce morti.
Le statine fanno venire il diabete?
La terapia con statine aumenta il rischio di diabete in coloro che lo sarebbero diventati comunque, cioè in chi ha già valori borderline, ma questo rischio non è nulla rispetto alla protezione fornita dal farmaco.
A queste conclusioni arriva una metanalisi pubblicata su The Lancet su quasi 124mila soggetti.
La maggior parte (62%) delle nuove diagnosi di diabete si verifica in persone con marker glicemici basali vicini alla soglia diagnostica per il diabete.
Nei soggetti senza diabete al basale, sia le statine a bassa/moderata che ad alta intensità hanno causato un aumento medio della glicemia di appena 0,04mmol/L e un aumento medio dell’HbA1c rispettivamente dello 0,06% e dello 0,08%.
Conclusioni degli autori: “Tra le persone senza diabete, la terapia con statine produce un aumento dose-dipendente del tasso di diagnosi di diabete inducendo un piccolissimo aumento della glicemia. Le persone sono maggiormente a rischio di superare la soglia diagnostica per il diabete a causa della terapia con statine se il loro controllo glicemico è vicino alla soglia prima del trattamento. I rischi correlati al diabete derivanti dai piccoli cambiamenti nella glicemia derivanti dalla terapia con statine sono ampiamente superati dai benefici delle statine sugli eventi vascolari maggiori quando si prendono in considerazione le conseguenze cliniche dirette di questi risultati.”
Insomma, abbiamo un enorme paracadute (le statine) che ha un piccolissimo buchino (il rischio di diabete), ma che ci porterà a terra sani e salvi nel 99,999% dei casi e noi preferiamo buttarci da 10mila metri senza niente (avere un rischio cardiovascolare elevato e rinunciare alle statine).

6 risposte su “Fattori di rischio cardiovascolare legati allo stile di vita alimentare (un Bignami)”
Salve, ringraziandola per il fantastico sunto che tutti dovrebbero leggere, le chiedo in che modo vede il pesce in scatola (sgombro, salmone, tonno, tutti al naturale), poiché risulta molto comodo e disponibile, oltre che ricco di omega 3 (perlomeno i primi due) e proteine (sazianti quindi) per la dieta di moltissime persone.
Le linee guida suggeriscono un consumo di pesce conservato massimo di 50g a settimana
Meglio non esagerare
Troppo sale.
La ringrazio per la risposta, saluti.
Buongiorno Sommo, ho letto (gli autori sono medici specializzati in nutrizione vegetale) che negli adulti sarebbe da limitare l’uso di grassi da condimento, compreso l’olio EVO, preferendo invece grassi integrali (olive, frutta secca, semi oleosi) perché insieme ai grassi apportano fibre, proteine e importanti micronutrienti (come calcio, selenio, ecc.). Cosa ne pensi al riguardo? Grazie come sempre..
Penso che in una alimentazione equilibrata ci sta sia l’una che l’altra cosa. Leggiti le linee guida. Certe affermazioni non hanno senso.
Ovvio che in una alimentazione totalmente vegana bisognerà avere più attenzioni all’introito di alcuni nutrienti e quindi la frutta secca è importante ma questo non vuol dire eliminare l’olio. Non ha senso alcuno.
Sì in effetti me lo
chiedevo perché ormai la mia alimentazione è quasi del tutto vegetale e probabilmente devo aumentare un po’ il consumo
di frutta secca (al momento ne consumo tra i 15 e i 20 grammi al
giorno).
Grazie per la risposta, che oltre a tutto, è sempre di buon senso