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Rofrano e la “grande” Tradizione gastronomica italiana

Pensare alla nostra tradizione culinaria come a un florilegio di ricette e cibi prelibati e chef stellati è un grosso errore. Forse questa è la nostra identità attuale, ma non è la nostra storia.

E la storia va studiata, come dice il Professor Alberto Grandi dell’Università di Parma, così ingiustamente attaccato per avere raccontato una banalità: la nostra gastro-identità attuale non corrisponde alle nostre radici. Ed è sbagliato mescolare l’una con le altre per vestirci di una presunta superiorità culinaria nei confronti del resto del mondo.

Altro che grande cucina, l’Italia del dopoguerra era un paese disperato, povero e spesso malnutrito: al nord si mangiava polenta, al sud pane e verdure.

Questo splendido documento dell’Istituto Luce (https://goo.gl/mMTmBv) mostra tutta la drammaticità della vita rurale italiana negli anni ’50. Adulti e bambini al limite della denutrizione (ma con una bassissima incidenza di malattie cardiovascolari, ricordiamoci questo piccolo fatto). Una vita dura, basata su una agricoltura di sussistenza, dove il lavoro pesante era una necessità per poter ottenere qualcosa di cui sfamarsi.

Per avere un’idea sia delle condizioni nutrizionali che di quelle “gastronomiche” di quel periodo, ecco cosa si mangiava in media ogni giorno a Rofrano:

Pane: 400g

Pasta: 120g

Patate: 100g

Ortaggi e frutta: circa 400g

Latte: 30g

Uova: 1/6 di uovo

Pesce: 7g

Carne: 20g

Formaggi: 13g

Olio e grassi: 35g

Vino: 50g

A fronte di questo, il lavoro e il dispendio calorico erano elevatissimi. Non esisteva il sovrappeso a Rofrano e le condizioni di vita erano precarie.

Non c’erano grandi preparazioni e ricette complesse a Rofrano. A Rofrano e in gran parte d’Italia c’era la povertà. I bambini erano addirittura più bassi e malnutriti dei coetanei napoletani della metà del 1800.

Ancel Keys (lo “scopritore” della dieta mediterranea) descrisse così il modo di alimentarsi di quell’epoca: “Meat, fish, milk, cheese and eggs were definitely luxuries for all the men, the great bulk of the diet being bread, pasta (macaroni, spaghetti, etc.), and local vegetables. Sugar and potatoes were eaten only in very small amounts, and butter was never used. Fruits and very small amount of cheese were regularly consumed”.

(“Carne, pesce, latte, formaggio e uova erano sicuramente un lusso per tutti gli uomini, la maggior parte della dieta era pane, pasta (maccheroni, spaghetti, ecc.) e verdure locali. Lo zucchero e le patate venivano consumati solo in piccolissime quantità e il burro non veniva mai usato. Si consumavano regolarmente frutta e piccolissime quantità di formaggio”).

Mi chiedo spesso se questo magrissimo ragazzo del 1954, che rientrando stanco dopo una giornata di duro lavoro nei campi, si rifocillava unicamente con un bel po’ di pane scuro, un micro pezzetto di formaggio e degli ortaggi conditi con olio di oliva, seguisse gli strnai rituali moderni. Se:

1. Mangiasse in sequenza, prima le verdure poi il formaggio e poi il pane per tenere a bada l’insulina 

2. Prendesse un cucchiaio di aceto di mele prima del pasto per abbassare la glicemia 

3. Per contenerne l’indice glicemico congelasse il pane, lo scongelasse e lo tostasse inducendo così la formazione di amido resistente

4. Avesse il terrore delle lectine del grano e dei legumi e non mangiasse patate e peperoni per la solanina

5. Usasse il pane senza glutine 

6. Facesse il digiuno intermittente 8:16

7. Si misurasse la glicemia ogni due per tre oppure

8. Mangiasse e basta. 

Ve lo dico io. Mangiava e basta. Poco. E si faceva il mazzo tutta la giornata.

(e come sappiamo, oltre ad essere magro e probabilmente proprio per quello, aveva un bassissimo rischio cardiovascolare, metabolico e tumorale) 

Certo mica era contento, mica lo faceva come terapia. Era costretto a farlo dalla povertà. 

Non dico che oggi dovremmo tornare ad essere poveri per essere sani. 

Ma perlomeno potremmo imparare a non credere alle stupidaggini che ci racconta certa gente.

Guardare il documento di Rofrano merita. Merita per capire come siamo cambiati, in meglio (per quanto riguarda i metodi di produzione agricola, le condizioni generali di vita) e in peggio (l’aumento della sedentarietà, il peggioramento dell’alimentazione e l’incremento di malattie un tempo quasi sconosciute).

A Rofrano nacque la storia della dieta mediterranea e forse anche parte della identità culinaria che si sviluppò in seguito e che noi oggi esaltiamo.

Ma non confondiamo le radici con la identità. Le nostre radici sono la povertà, l’emigrazione, il lavoro duro, la fame.

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

3 risposte su “Rofrano e la “grande” Tradizione gastronomica italiana”

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