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Alga Kombu e legumi

Allora. Questa cosa è universale. Ovunque ti giri trovi questo suggerimento: mettere un po’ di alga Kombu (Laminaria spp.) renderebbe i legumi più “digeribili”.

Facciamo una premessa: i legumi si digeriscono benissimo. Non sono difficili da digerire, nell’accezione comune che si da a questo termine (cioè senso di pesantezza e aumento dello svuotamento gastrico). Si confonde spesso “digestione” con “fastidi addominali” legati all’uso di questi semi.

I nutrienti dei legumi li digeriamo meravigliosamente perchè i legumi hanno pochissimi grassi e semmai sono questi che rallentano la digestione.

Però è vero che contengono alcuni carboidrati (che fungono da fibra alimentare: verbascosio raffinosio e stachiosio) i quali passano indenni la fase digestiva (dato che non abbiamo gli enzimi per digerirli come le alfa-galattosidasi e le alfa-fruttosidasi) e raggiungono l’intestino dove possono essere fermentati dal microbiota e produrre gas e gonfiore (in teoria questo fatto, per quanto fastidioso per noi, “nutre” i nostri batteri e produce sostanze benefiche).

Cercando nella letteratura scientifica non si trova nulla riguardo il consiglio universale di aggiungere un pochino di Kombu (https://en.wikipedia.org/wiki/Kombu#Nutrition_and_health_effects) durante l’ammollo e la cottura (il bicarbonato potrebbe accelerare l’idratazione della cuticola nell’ammollo e ridurre i tempi di cottura, ma anche questo è oggetto di discussione).

Per risalire all’origine di questo consiglio ho spulciato molti articoli non scientifici finché ne ho trovato uno del Washington Post (https://www.washingtonpost.com/lifestyle/wellness/kombu-a-nutritional-powerhouse-from-the-sea/2013/01/29/aa4bb830-4ad4-11e2-a6a6-aabac85e8036_story.html) che parla di oscuri enzimi presenti nell’alga, responsabili della degradazione degli oligosaccaridi non digeribili dei legumi. Cercando oltre, ho trovato che questi enzimi (di origine batterica marina, cioè prodotti da microrganismi presenti sulle alghe in genere) sono innumerevoli (esiste un enorme database qui: http://www.cazy.org) e molto studiati per motivi ambientali e vengono chiamati…CAZimi (non ci possono fare niente, si chiamano così) da “Carbohydrate-Active enZYmes” e riescono effettivamente, IN VITRO, a digerire quei carboidrati responsabili del gonfiore (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0959440X14000815?via%3Dihub).

Solo che non c’è nessuna prova che questo avvenga veramente e in che misura. Di certo non serve aggiungere l’alga in cottura perché i batteri e gli enzimi, termolabili, verrebbero distrutti. Forse quindi è utile durante l’ammollo? Ma bastano quei due pezzetti di alga? e poi perchè solo la Kombu visto che questi enzimi sono di origine batterica e tutte le alghe li possiedono?

Qui: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0007996016301730 trovo che non è stato mai studiato nell’uomo questo processo: “sapere se la cottura è più veloce e la digestione è più facile, questo apparentemente non è stato studiato nell’uomo, che si tratti di bicarbonato o alghe Kombu, anche se il loro uso è solitamente raccomandato dai cuochi.”

Quindi direi che l’unico modo per alleviare i disturbi è:

1. effettuare un ammollo prolungato (perchè in parte serve anche per ridurre la presenza dei composti non digeribili) e abituarsi ai legumi (abituare il microbiota a digerirli)
2. usare legumi decorticati o al limite passarli (anche se in questo caso la fibra si perde)

La fermentazione dei legumi (pratica tradizionale in altri paesi come l’India) può ridurre la concentrazione dei carboidrati responsabili dei gasi addominali, ma da noi non è usata.

Infine, se parliamo di bambini piccoli devo mettere in guardia dall’utilizzo di alghe che sono in genere ricchissime di iodio il quale può scatenare ipertiroidismo per intossicazione ad alte dosi.

Quindi per i più piccoli l’uso smodato di alghe è rischioso (può esserlo anche negli adulti). L’unica è eliminare le bucce chè non succede niente dato che troppa fibra nei bimbi piccoli non va bene.

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

10 risposte su “Alga Kombu e legumi”

Prima di tutto voglio fare i complimenti all’autore di questo sito. E’ una delle poche fonti in italiano dove si parla con competenza scientifica, chiarezza divulgativa ed assenza di secondi fini.
Essendo un FITtico (eh sì) che si alimenta ormai da anni secondo uno stile mediterraneo-WFPB mangio la mia porzione di legumi praticamente tutti i giorni in bei piatti unici sazianti ed economici (riso e pasta con fagioli, lenticchie, fave e ceci). E i legumi me li cuocio anche da solo, di solito con un piccolo slow-cooker o, quando ho fretta, con una piccola pentola a pressione elettrica programmabile.
Quindi, da esperto “mangiafagioli” quotidiano, vorrei dare qui il mio piccolo contributo, dicendo che è “vero” che i legumi sono poco digeribili. C’è un fondo di verità nell’avversione popolare a questi semi. E’ vero perché per eliminare tutti i problemi solitamente connessi al loro consumo è necessario sì abituare il microbiota mangiandoli regolarmente, ma ancor più fondamentale è mangiarli cotti bene (devono essere tenerissimi, facilmente riducibili in purea con le dita).
Ora, non so se è per la mania che tutto debba essere “al dente”, ma non mi è mai capitato di mangiare legumi ben cotti che non fossero quelli cotti da me, secondo l’esperienza che mi sono fatta in anni di prove e controprove. Anche quelli in scatola o in barattolo (eccetto quelli di una particolare marca “premium” che non so se qui è opportuno menzionare) io li trovo sempre crudi, e mi danno problemi di flatulenza.
Ora, io non ho mai trovato una, e dico una, fonte chiara in italiano che insegni come cuocere bene i legumi, così che siano digeribili e piacevoli al gusto. Tutti a consigliare alghe strane, ammolli di quarantacinque ore, cotture di sedici, dodici cambi di acqua di ammollo, etc., che poi a provarle si rivelano tutte baggianate. Nessuno, invece, che centra il punto su quello che conta davvero e che è l’acqua che si usa per l’ammollo e la cottura.
Se si usa un’acqua dura (come per esempio qui quella di Roma) i legumi non saranno mai ben cotti, a prescindere dalla durata della cottura e dell’ammollo, e dopo averli mangiati si finirà sempre a fare le sinfonie come Paviglianitti in CinicoTv. L’unico modo per ovviare al problema di un’acqua dura è aggiungere bicarbonato all’acqua dell’ammollo (ma il gusto ne risente, e anche la vitamina B) o sale (sì, proprio a quella dell’ammollo, anche se tutti dicono che li indurisce, ma è vero il contrario, googlare in inglese per credere, o provare).
Io solitamente uso il secondo metodo, che esalta magnificamente anche il sapore (il sale penetra dentro il seme, tutto cambia in termini di gusto e quella che prima era una noiosa pasta e fagioli diventa un tripudio di fragranze). Con quattro ore di ammollo e mezz’ora di cottura sul gas in pentola si avranno legumi tenerissimi, saporitissimi e digeribilissimi. Per chi è preoccupato dal sale, basta invece ammollarli e cuocerli in un acqua con poco calcio (va bene quella di qualsiasi bottiglia di supermercato).

Dottore, vorrei aggiungere un dettaglio: i legumi dovrebbero essere lasciati in ammollo 24 ore, cambiando l’acqua possibilmente tre volte al giorno (mattina, pranzo e sera) dopo aver ben sciacquato i legumi sotto l’acqua corrente.
La cottura dovrebbe avvenire nelle classiche “cuoci legumi” in terracotta.
Mi è stato trasmesso in famiglia questo “segreto” e devo dire che i risultati sono ottimi. La cottura è eccellente; aggiungere i cereali quasi al termine della cottura dei legumi conferisce un sapore particolare alla pietanza. E’ davvero la pasta e legumi di un tempo! Saluti

Le cose non stanno così. Scientificamente è stato dimostrato che, con la maggior parte delle varietà, si ottiene un ammollo completo in 4 – 6 ore, a seconda della temperatura a cui avviene l’ammollo.
Ammolli troppo lunghi (ad esempio di 24 ore quando la temperatura ambiente è alta) potrebbero invece portare alla formazione di patogeni con fermentazioni non desiderabili.
Non è nemmeno vero che i legumi necessitino di una cottura lunga in terracotta stile tradizionale; io, personalmente, per praticità uso una slow-cooker, che è quanto ci si avvicina di più; però quando ho pochissimo tempo e non mi sono ricordato di predisporre il tutto la sera prima, ottengo una cottura assolutamente indistinguibile anche in 30 minuti di pentola a pressione, senza previo ammollo.
Sullo scartare o meno l’acqua di ammollo la scienza non è univoca; sicuramente si ottiene una certa riduzione dei fitati, il che dovrebbe migliorare la digeribilità in stomaci non abituati e favorire l’assorbimento dei micronutrienti. Però è anche vero che i fitati hanno dimostrato, negli esperimenti, effetti antidiabetici e, in vitro, anche potentissimi effetti anti-infiammatori e antitumorali. Per cui io, da mio canto, per assicurarmi entrambi i benefici, qualche volta l’acqua di ammollo la scarto, qualche altra volta no.

I legumi freschi richiedono le stesse procedure di ammollo? Non per l’idratazione, per gli antinutrienti, non sono presenti anche qui?

“ho letto che”
l’acido fitico: per ridurre il contenuto di acido fitico, si possono usare l’ammollo a lungo, la germinazione e la fermentazione;
le lectine: L’ammollo per una notte e l’ebollizione per almeno 10 minuti, sono i due processi che degradano le lectine;
le saponine: L’ammollo, la fermentazione e la germinazione sono i meccanismi che riducono il contenuto di saponine

Sono comunque tutte termolabili?
È lo stesso fagiolo secco o fresco, non contiene le stesse cose?

Tutte queste operazioni sono totalmente inutili perché noi abbiamo una alimentazione ricchissima di nutrienti e non rischiamo carenze. Soprattutto gli onnivori. Qualche precauzione in più possono prenderla i vegani ma la paura di fitati e lectine è senza senso e fa parte di una narrazione di un certo gruppo di persone che non sa dove stia di casa la nutrizione e la sua scienza

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