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Storia della Dieta Mediterranea e del nostro cuore: le tre ipotesi

Nel nostro Mediterraneo il nuovo anno inizia con gli alberi carichi di limoni, arance e mandarini. Con i vecchi carretti, e i nuovi furgoni che lentamente li rimpiazzano, che vanno al mercato sovraccarichi di cavolfiori, lattughe, carciofi. E all’inizio di febbraio i mandorli sono tempestati di boccioli che annunciano l’arrivo della primavera. Marzo è pazzo. – È il più crudele dei mesi, proprio come aprile, avrebbe detto T.S. Eliot. – Il tempo è umorale, bizzoso, volubile. È il momento di prendersi cura dei frutteti e legare bene i tralci delle viti. È il momento di godersi le verdure di stagione, spesso così diverse da quelle degli Stati Uniti, un nuovo mondo fatto di broccoli di rapa, finocchi, fave così tenere che si possono mangiare crude e una dozzina di verdure selvatiche che si raccolgono lungo il ciglio delle strade. Poi arriva il momento degli spinaci e dei fagiolini verdi, delle piccolissime zucchine e dei pisellini di rugiada che fanno da corona a teneri capretti e ad agnelli vigorosi durante i festeggiamenti della Pasqua
Ancel Keys

Correva l’anno 1941. In piena Seconda guerra Mondiale, uno zoologo americano di nome Ancel Keys inventava le “Razioni K”, pratiche e facilmente trasportabili porzioni di cibo che accompagnavano i paracadutisti americani nelle loro missioni. Quelli furono gli anni in cui scienziati come  Keys cominciarono ad analizzare i rapporti tra le malattie non trasmissibili (sopratutto infarto e tumori) e l’alimentazione. Nel bacino mediterraneo, osservando gli abitanti di Creta, notarono che morivano molto meno di queste patologie rispetto agli americani e verso la fine degli anni ’40 si cominciò a capire che le morti cardiache erano legate a grumi (trombi) che impedivano al sangue di fluire liberamente nei vasi (aterosclerosi). Si intuiva che in qualche maniera l’alimentazione avesse un ruolo, ma non si comprendeva ancora quale fosse e sopratutto non si trovava il vero colpevole.

Dopo la guerra, il Dottor Keys si trasferì in Italia nel paesino di Pioppi, nel cilento, e, assieme alla moglie Margareth, visse là fino a quasi la sua morte (avvenuta 50 anni dopo a quasi 101 anni!). Insieme, acquistarono una villa che chiamarono Minnelea e fu qui che Ancel Keys portò avanti il grande studio epidemiologico che prese il nome di Seven Country Study.

L’ipotesi lipidica

I primi risultati dei lavori di Keys mostrarono chiaramente che più l’alimentazione era ricca in grassi (sopratutto saturi: https://www.gabrielebernardini.it/i-grassi-saturi/), più il rischio cardiovascolare aumentava. In generale fu un primo campanello d’allarme: i grassi dovevano essere contenuti. Se andiamo a vedere come mangiavano i popoli del mediterraneo alla fine degli anni ’50 (I dati si possono estrarre qui: http://www.fao.org/faostat/en/#data/FBS) e confrontiamo questo modello con le altre popolazioni occidentali extra-mediterraneo (Svezia, Stati Uniti, Gran Bretagna) ci accorgiamo subito delle differenze: la quota di energia derivante dai grassi si assestava al di sotto del 25% (con la notevole eccezione della Grecia, che praticamente nuotava nell’olio di oliva), mentre le popolazioni che non si affacciavano sul Mediterraneo arrivavano a consumarne anche il 35-38%. Ma la cosa che più saltava all’occhio era che quei grassi in più erano tutti di origine animale! Perciò mangiare pochi grassi e perlopiù di origine vegetale correlava molto bene con il ridotto rischio cardiovascolare delle popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo a quei tempi. La correlazione era fortissima e dava spiegazione di circa l’80% delle morti per infarto e ictus (non spiegava TUTTA la mortalità e vedremo perchè quando parleremo della ipotesi ossidativa).

QUESTA è la dieta mediterranea, queste erano le evidenze scientifiche che all’epoca legarono alimentazione e malattie cardiovascolari e poterono spiegare la minore mortalità delle popolazioni che si affacciavano sul nostro mare….anzi no! non solo sul nostro mare. Anche popolazioni che vivevano molto lontane da noi avevano un basso rischio di infarti. Cina e Giappone nel 1961 facevano una dieta ultra-mediterranea arrivando a consumare solo il 10% delle calorie da grassi, prendendone il rimanente 90% da alimenti vegetali! Keys mise in luce che non erano (e non sono) i singoli cibi a fare la dieta mediterranea, ma l’alimentazione nel suo complesso!

L’ipotesi lipidica mostrò altre cose: mostrò che non tutti i grassi sono cattivi (a parità di calorie introdotte), che alcuni come i saturi e il colesterolo (sopratutto i primi) sono i veri responsabili dell’aumento del colesterolo nel sangue, che anche fra i saturi ci sono i cattivissimi (il miristico, il laurico, per esempio), i neutri (il palmitico) e i potenzialmente buoni (stearico).

Keys, fu deriso, osteggiato e contrastato, ma alla fine queste prime evidenze sul legame tra dieta e salute sfociarono nelle Linee Guida per gli Americani (nel 1977), approvate da Senato, in cui veniva posto l’accento sulla riduzione dei grassi saturi e sul maggior consumo di cereali integrali, frutta e verdura (https://goo.gl/hyRfpn).

L’ipotesi ossidativa

La storia della dieta mediterranea non finisce qui. Il tempo passa e gli stili di vita cambiano, nuovi scenari si manifestano e l’aumento del benessere porta ad un aumento dei consumi alimentari: si mangia molto più di prima e sopratutto la quota di grassi aumenta.

Abbiamo visto che la correlazione grassi (saturi)/mortalità per malattie cardiovascolari spiegava circa l’80% delle morti, ma il restante 20% moriva pur non avendo un colesterolo elevato nel sangue. Viceversa alcune popolazioni (come quella francese) mostravano una colesterolemia molto elevata pur mantenendo una bassa mortalità per malattie cardiovascolari e questo era in apparente contrasto con le teoria di Keys (no, il vino non spiega il cosiddetto “paradosso francese”, quella è una bufala messa in giro da chi aveva interessi e potere di farlo). 

Cosa può spiegare tale apparente incongruenza? I lavori che si susseguirono mostrarono che la colesterolemia elevata non poteva essere l’unica responsabile e l’unica colpevole, ma che doveva esserci il contributo di qualcos’altro.

Entrano in campo i radicali liberi e il cosiddetto stress ossidativo: la nostra vita è legata all’ossigeno. L’essere umano, attraverso complicati meccanismi, demolisce il cibo per estrarne energia che usa per svolgere i lavori di tutti i giorni. L’ossigeno che respiriamo incontra il risultato di questa “demolizione” (sotto forma essenzialmente di una molecola che si chiama NADH) e produce una moneta energetica (ATP) che poi usa per i vari compiti che deve svolgere. Durante questo lavoro, qualcosa può andare storto e si possono formare molecole altamente reattive chiamate radicali liberi. Si calcola che circa l’1-1,5% dell’ossigeno che respiriamo sfugga sotto forma di un radicale libero. E’ il prezzo che paghiamo per vivere. Queste “perdite” di radicali liberi sono le responsabili dell’invecchiamento (non le uniche responsabili), delle rughe e di molte malattie come i tumori e gli infarti. Tutto ciò che aumenta il consumo di ossigeno (per esempio mangiare troppo e mangiare troppi grassi, che si ossidano facilmente sopratutto se trattati ad elevate temperature, bere alcolici, esagerare con l’attività fisica, avere la febbre) porta ad un aumento della produzione di molecole impazzite che accorciano la vita andando a colpire le arterie o il DNA e innescando il processo degenerativo che porta alle patologie cardiovascolari e ai tumori. I radicali liberi derivano anche da fonti esterne: il fumo di sigaretta, l’esposizione al sole, i gas di scarico, l’inquinamento in generale e alcuni farmaci).

Ovviamente il nostro corpo ha delle difese: enzimi come la superossido-dismutasi (SOD) “neutralizzano” i radicali liberi. Sono la nostra prima linea di difesa. La SOD in particolare è così abile e veloce da essere usata come marcatore della durata della vita negli animali: più ce n’è, più la vita è lunga. Altri antiossidanti come la catalasi e la glutatione-perossidasi fanno parte del gruppo e lavorano in sinergia.

Lo stress ossidativo divenne il complice della ipercolesterolemia e andò a integrare l’ipotesi lipidica di Keys: un eccesso di radicali liberi che incontri tanto colesterolo che gira nel sangue trasportato dalle lipoproteine, le ossida e le rende “corpi estranei”. Il nostro sistema immunitario, i macrofagi,  attaccano questi “stranieri”, li inglobano e il tutto si deposita nelle arterie innescando il processo ateromatoso con produzione della placca che, ingrandendosi, può portare alla chiusura del vaso. Le sigarette producono 10 elevato alla 23 (!) radicali liberi per boccata, il che fa capire il grado di pericolosità di questa pratica rispetto a qualunque altro nostro comportamento “insano”. Fumare aumenta il rischio di malattie di molti ordini di grandezza rispetto a mangiare tanto o mangiare male.

Una volta scoperto il rischio dei radicali liberi e il potere degli antiossidanti, ecco che il marketing ci andò a nozze: cominciò a entrare nella mentalità della gente il concetto (ancora oggi duro  morire) di alimento come “fornitore” di molecole buone, non capendo che gli antiossidanti di frutta e verdura servono a frutta e verdura e non a noi (se non forse in un particolare frangente che vedremo tra poco), che gli alimenti non sono contenitori di sostanze e che tanto meno queste sostanze estratte, purificate e vendute come integratori possano avere effetti positivi (anzi, in alcuni casi gli effetti si sono dimostrati negativi): https://www.gabrielebernardini.it/gli-antiossidanti-chiarimenti/

L’ipotesi infiammatoria

Altri due apparenti paradossi sembravano mettere in crisi l’ipotesi ossidativa: l’attività fisica e i grassi polinsaturi.

Chi fa regolare movimento durante la vita e chi mangia più prodotti della pesca è più protetto dalle malattie cardiovascolari e dal cancro. Ma abbiamo visto che una maggiore richiesta di ossigeno (derivante dal movimento muscolare) porta a una maggiore produzione di radicali liberi. Inoltre i grassi polinsaturi (di cui il pesce è ricco) si ossidano facilmente. Come mai allora siamo più protetti in questi due casi?

L’esercizio fisico prolungato e moderato stimola la produzione interna di antiossidanti che una volta cresciuti rimangono a livelli più alti abbassando lo stato infiammatorio e ossidativo. I grassi del pesce invece, pur essendo più propensi all’ossidazione sono potenti antinfiammatori e anti trombotici, abbassano il colesterolo cattivo e alzano quello buono nel sangue favorendo la protezione.

Ho parlato della cosiddetta infiammazione di basso livello qui: https://www.gabrielebernardini.it/fiamma/.

Conclusioni: le tre ipotesi e la dieta mediterranea

Mettendo insieme l’ipotesi lipidica, ossidativa e infiammatoria possiamo finalmente comprendere come la dieta mediterranea abbia avuto e continui ad avere sempre maggiori conferme e rimanga l’alimentazione migliore in assoluto per la prevenzione delle malattie non trasmissibili. 

Vediamone i punti salienti cercando di ricondurli alle tre ipotesi. 

  1. La prima cosa da fare è mangiare poco per evitare un eccesso di produzione di radicali liberi e un aumento dell’infiammazione. Poca energia ma buona. Da qui nascono tutti i lavori sul digiuno come mezzo per “metterci una pezza”, ma è chiaro che la pezza più grossa ce la mettiamo se mangiamo in maniera giusta SEMPRE e non per l’arco di breve tempo.
  2. Fare attività fisica costante ma leggera, quella che serve a mantenere il peso mangiando poco. Troppa fa male. Chi si abbuffa e poi si uccide di movimento per dimagrire, compie una azione deleteria perchè aumenta due volte la produzione di radicali liberi.
  3. Il modello mediterraneo è un modello che prevede grandi quantità di vegetali, consumati spesso crudi o solo scottati. Si evita così (o si riduce) il rischio di produzione di radicali liberi derivanti dalla cottura. Inoltre il consumo di frutta e verdura in abbondanza toglie spazio alla introduzione di ossidanti pericolosi presenti sopratutto nelle carni rosse e conservate (che contengono anche molti grassi saturi e colesterolo, fra l’altro). Il maggior indiziato è il ferro. Il ferro in queste carni è molto concentrato e durante la digestione viene liberato nell’intestino. Noi ne assorbiamo il 40% circa, ma il rimanente 60% resta in giro ed è come una bomba pronta ad esplodere perchè alcune condizioni possono innescare la produzione di moltissimi radicali liberi. Ed è qui (nella fase pre-assorbitiva, cioè quando ancora siamo nel lume intestinale) che un po’ di antiossidanti dei vegetali potrebbero essere utili per bloccarlo e neutralizzarlo. Ma è chiaro che se il ferro NON lo introduciamo in eccesso è meglio. Ecco quindi che frutta e verdura fanno bene sopratutto perchè evitano che mangiamo troppa carne e quindi ferro, e non perchè ci sono gli antiossidanti!
  4. I cereali e tutti i loro derivati sono una parte importantissima della dieta mediterranea. A parte il pane (che però è quasi privo di grassi), pasta, riso, patate, polenta non raggiungono elevate temperature che possano aumentare la produzione di radicali liberi. Nel pane e nei prodotti da forno in generale possono effettivamente prodursi altre sostanze (https://www.gabrielebernardini.it/quella-bella-crosticina-dorata-gli-ages-le-patatine-e-le-rughe/), ma la loro tossicità è legata dosi e temperature molto elevate.  
  5. La fibra  è abbondante: sazia e limita l’introduzione di altri alimenti più dannosi, inoltre protegge nel transito intestinale quei (pochi) prodotti ossidati che possiamo introdurre.
  6. I grassi sono pochi, vegetali (olio di oliva ma non solo) e a crudo. Perciò la loro degradazione e produzione di sostanze ossidanti è limitata se usati così.
  7. I cibi animali sono limitati. La carne è sopratutto avicola (pochi grassi), cotta con pochi grassi e a fuoco basso, molto meno dannosa di un pezzo di carne grasso, cotto ad elevate temperature e molto ricco di ferro. C’è invece un buon consumo di latte o yogurt che vengono consumati tal quale e non pongono problemi nelle corrette quantità.
  8. E’ una dieta con un basso impatto sulla glicemia (https://www.gabrielebernardini.it/indice-glicemico-riflessioni/) a causa della sua frugalità e della abbondante presenza di fibre. Viene limitato così il rischio di insulino resistenza che è un altro determinante per il rischio di malattie (https://www.gabrielebernardini.it/linsulino-resistenza). 
  9. E’ una dieta antinfiammatoria grazie al fatto che la sua frugalità e il suo potere saziante (tanta fibra dei vegetali: https://www.gabrielebernardini.it/sazieta-e-appagamento/) aiuta il mantenimento del peso e questo porta ad una riduzione dell’infiammazione (https://www.gabrielebernardini.it/fiamma/). Inoltre l’equilibro tra grassi buoni (omega3 del pesce sopratutto, antinfiammatori) e grassi cattivi (grassi saturi in particolare e quindi carne e formaggi, infiammatori) è sempre a favore dei primi.

La dieta mediterranea è un modello, uno stile di vita che è più della somma dei singoli alimenti che la compongono. E’ un equilibrio dove niente è precluso, ma in cui le giuste proporzioni tra i vari gruppi alimentari fanno la differenza. Non esistono cibi proibiti, ma solo corrette porzioni e frequenze di consumo. Non esistono neppure cibi miracolosi (e tanto meno estratti sotto forma di integratori), ma è l’insieme che fa la differenza.

Nel 1954 l’allora Istituto Nazionale per la Nutrizione (ex Inran, ora CREA – Alimenti e Nutrizione) descrisse e studiò per la prima volta la dieta mediterranea osservando le abitudini alimentari della popolazione di un piccolo paese del cilento, Rofrano.

Questo splendido documento dell’Istituto Luce (https://goo.gl/mMTmBv) mostra tutta la drammaticità della vita rurale italiana negli anni ’50. Adulti e bambini al limite della denutrizione, ma con una bassissima incidenza di malattie cardiovascolari. Una vita dura, basata su una agricoltura di sussistenza, dove il lavoro duro era una necessità per poter ottenere qualcosa di cui sfamarsi.

Ancel Keys descrisse così il modo di alimentarsi di quell’epoca: “Meat, fish, milk, cheese and eggs were definitely luxuries for all the men, the great bulk of the diet being bread, pasta (macaroni, spaghetti, etc.), and local vegetables. Sugar and potatoes were eaten only in very small amounts, and butter was never used. Fruits and very small amount of cheese were regularly consumed”.

(“Carne, pesce, latte, formaggio e uova erano sicuramente un lusso per tutti gli uomini, la maggior parte della dieta era pane, pasta (maccheroni, spaghetti, ecc.) e verdure locali. Lo zucchero e le patate venivano consumati solo in piccolissime quantità e il burro non veniva mai usato. Si consumavano regolarmente frutta e piccolissime quantità di formaggio”).

Guardate questo breve filmato perchè merita. Merita per capire come siamo cambiati, in meglio (per quanto riguarda i metodi di produzione agricola, le condizioni generali di vita) e in peggio (l’aumento della sedentarietà, il peggioramento dell’alimentazione e l’incremento di malattie un tempo quasi sconosciute).

A Rofrano nacque la storia della dieta mediterranea

Il caro Dottor Keys sarebbe contento nel vedere come le sue pionieristiche imprese siano state ampiamente confermate dalla successiva ricerca. Molto c’è ancora da capire, ma la dieta mediterranea funziona. Ha sempre funzionato anche se non sapevamo (e ancora non sappiamo del tutto) bene il perchè.

“Eat well and stay well”

Riferimenti bibliografici

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Di Dott. Gabriele Bernardini

Biologo, nutrizionista, toscano

6 risposte su “Storia della Dieta Mediterranea e del nostro cuore: le tre ipotesi”

Documento interessante e da divulgare , soprattutto nelle scuole dove si possono e si devono ancora insegnare stili di vita sani e sostenibili. In questo compito arduo a volte ci aiutano i.genitori, altre volte ci scontriamo con pregiudizi e condizione ti difficili da eradicare. Continueremo….

Non mi aspettavo un commento così superficiale da te.
Troppa vuol dire troppa. Che ci sia un aumento di produzione radicalica è indubbio. I professionisti sono più a rischio ma non vuol dire che muoiono a 50 anni. Anche perché in genere mangiano bene e pure quello conta.

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